lunedì 22 settembre 2008

ITE MISSA EST?



Domenica sera, ore 19, chiesa parrocchiale di San Roberto Bellarmino.

Siamo in piazza Ungheria, luogo nodale dei Parioli e porta d'ingresso al quartiere. Dalla piazza si propagano le arterie che portano all'incantevole belvedere di piazza delle Muse ed allo zoo, passando per villa Taverna, residenza dell'ambasciatore statunitense a Roma.

La navata a sinistra è ancora vuota ma piano piano comincia a riempirsi di decine di giovani che, preso posto tra i banchi ed accompagnati dalle chitarre, cominciano ad intonare il canto d'ingresso nel momento stesso dell'entrata del sacerdote accompagnato dai ministranti.

Nulla di nuovo rispetto alle tante messe dei giovani che ogni domenica si possono ascoltare nelle parrocchie italiane ma vederla fa davvero uno strano effetto. Sono tempi nei quali è unanimente riconosciuto quanto le chiese italiane tendano a svuotarsi di fronte ad un aumento della scissione tra fede dichiarata e comportamenti personali e alla ricerca di diverse forme di spiritualità che portano a cercare dei succedanei. Siamo in un'epoca secolarizzata, i sociologi tendono a distinguere tra una secolarizzazione qualitativa (un'inesorabile perdita dell'importanza della religione nel discorso pubblico) ed una quantitativa (una diminuizione dei fedeli all'interno delle società moderne) tanto che per alcune frange della società si può addirittura parlare di scristianizzazione.

Eppure ad osservare quanto la chiesa sia normalmente piena in ogni ordine di posti ci si chiede quanto spesso la sociologia pecchi nel descrivere un mondo teorico scisso dalla realtà quotidiana.

Gran parte del merito sembra spetti a don Andrea, un giovane sacerdote che da qualche anno ha costituito un gruppo giovanile molto attivo che ha iniettato linfa all'interno del tronco della comunità parrocchiale e che svolge un gran numero di iniziative. La sua predica nella messa domenicale pone i fedeli davanti a tematiche e ad interrogativi non banali, non ci si trova di fronte a risposte preconcette ma ad una sorta di dialogo nel rispetto dei ruoli. L'esaltazione della novità e del messaggio rivoluzionario di Cristo, l'attenzione sulla pace, sul rispetto dell'altro e sulla fratellanza. L'uditorio è posto di fronte a suggerimenti letterari, al confronto con altre culture e tradizioni (citazioni di John Donne, Ernest Hemingway) o a brani di opere uomini di chiesa tra i più valenti (il cardinale Martini o don Tonino Bello) utilizzati allo scopo di spiegare gli avvenimenti che si svolgono nella nostra società.

E attorno questi giovani, felici e partecipi, che spesso la tv e la stampa dipingono come schiavi della società di massa, della generazione internet o di un mondo oramai sperso nel relativismo culturale ed etico. Giovani che proprio quest'anno hanno avuto il privilegio di visitare i luoghi santi di Israele e di confrontarsi con i fratelli maggiori, quegli ebrei che il concilio Vaticano II riabilitò dalla accusa di deicidio che per secoli aveva impedito un dialogo e confronto con una delle tre grandi religioni monoteiste.

E in un periodo nel quale la religione spesso viene brandita come una clava a giustificazione di mere ideologie che di religioso hanno ben poco è da rilevare l'importanza di iniziative che mirino al confronto, all'ascolto ed al rifiuto di ogni verità precostituita. E non è forse un caso che il risultato sia una fila interminabile al momento dell'Eucaristia, giovani, anziani, adulti, bambini assieme a cantare e a farsi parte sempre più di una comunità, serena e gioiosa.

Comunità che rappresenta un'occasione non banale di incontro e condivisione rispetto alle immagini stereotipate e alle polemiche sul nuovo protagonismo della Chiesa. Un protagonismo, sul quale si possono avere idee ed opinioni diverse, ma che spesso diviene oggetto di scontro a causa della strumentalizzazione di carattere politico da parte dei due principali schieramenti che spesso, poveri di proposte, speculano sulle posizioni della Chiesa sperando di cavarne risultati positivi dal punto di vista elettorale. Schieramenti che operano una reductio ad unum della Chiesa dimenticando che all'interno della comunità cattolica esistono diverse sensibilità e stati d'animo che non possono essere automatiacmente traslati sul piano elettorale. Il risultato del referendum sulla procreazione assistita di qualche tempo fa, di fronte come abbiamo precedentemente accennato ad una calo della pratica religiosa, sta lì ad indicarlo.

L'assistere alla messa a San Roberto, assieme alla compagnia di un così valido gruppo giovanile, può essere un momento di riflessione sulla nostra società e su quanto avvertiva poco più di 60 anni un filosofo laico come Benedetto Croce:"Perchè non possiamo non dirci cristiani".

venerdì 19 settembre 2008

OVERBOOKING


Il momento attuale è ben raccontato da Ilvo Diamanti su "La Repubblica" di oggi. Perchè aggiungere parole a chi di mestiere sa raccontare così bene la società:
"E' un po' sorprendente che la delusione, tanto diffusa nella società, non produca sfiducia nel governo e, in primo luogo, nel premier.
Eppure in passato aveva sempre funzionato l'equazione: più delusione meno consenso a chi governa.
Tanto che la delusione era divenuta una fra le più efficaci tecniche di opposizione.
Complici i media, che ne hanno fatto un genere di successo, miscelando la delusione con altri sentimenti di largo uso, nel linguaggio comune. La paura, l'incertezza, l'inquietudine, l'insicurezza.
Così, per restare a questo decennio, gli italiani delusi hanno punito, dapprima, Berlusconi e il centrodestra. Il quale ha perduto tutte le elezioni intermedie, dopo il 2001: comunali, regionali, europee. Tutte. Per riprendersi - e quasi a rivincere - nel 2006, dopo una breve e intensa campagna elettorale tutta protesa a deviare il corso della delusione verso Prodi e il centrosinistra. Suscitando sfiducia preventiva nei loro confronti. Come avrebbero potuto, gli elettori, soprattutto i più moderati, fidarsi dei comunisti, neo o ex non importa, e dei loro alleati?
Quelli che avrebbero aumentato le tasse, anzitutto sulla loro casa; quelli che avrebbero aperto le porte ai delinquenti e agli immigrati: cioè, lo stesso; quelli che avrebbero allargato ancora lo spazio dello stato e ridotto quello del privato. Non ne avevano ... "paura"?
Argomenti riproposti, con successo, nella breve parentesi del secondo governo Prodi. Neppure due anni di navigazione faticosa e affaticata, poi il naufragio. Nelle acque torbide della delusione. A poco è servito il tentativo di Veltroni di voltar pagina, cancellare il passato. Un nuovo partito, una nuova strategia, da soli da soli! Opposizione senza pregiudizio e senza antagonismo, Berlusconi: avversario mai più nemico. Troppa la delusione retrospettiva. Al punto da rendere inutile e controproducente il tentativo di rimuovere il passato - insieme a Prodi. Da ciò la vittoria schiacciante di Berlusconi, sopravvissuto alla delusione, emerso da un mare di delusione.
E ora là, luminoso faro nella nebbia della delusione. Un sentimento che, sei mesi dopo il voto, non si è dissolto, ma, al contrario, continua a crescere. Una foschia grigia e densa. D'altronde, non ne va bene una. La crisi economica e finanziaria deborda. I prezzi sono fuori controllo. La paura della criminalità non flette. La fiducia nel futuro... da che parte sta il futuro? E poi, nessuna promessa mantenuta. Le tasse? Non caleranno. Alitalia? Affonda. Neanche nel calcio le cose vanno bene. La Nazionale ha perso gli europei. (Altro che ai mondiali del 2006, quando c'era Prodi ...).
Eppure, il rapporto fra il governo e il paese; fra Berlusconi e gli elettori non ne risente. Al contrario: i livelli di fiducia crescono. Piove, anzi, tempesta: governo virtuoso. Edmondo Berselli, su Repubblica, ha sostenuto questa inversione di tendenza vi sia l'affermarsi di una forma di comunicazione politica. Anzi di un "format". Interpretato, sulla scia del Cavaliere, maestro insuperato, da alcuni attori politici abili.
Anzitutto, Brunetta, il persecutore dei fannulloni annidati nel pubblico impiego. Poi, la Gelmini, domatrice dei professori e dei maestri, incapaci di educare e disciplinare i nostri figli. Maroni, difensore degli italiani dall'invasione minacciosa di stranieri e rom. Infine, perfino la Carfagna, alla caccia di prostitute e clienti, da punire direttamente sulla strada; Un format che comunica in modo semplice problemi complessi; personalizzando le paure e le crisi, attraverso bersagli facili da colpire, che riflettono il senso comune e spostano il flusso della sfiducia e della delusione lontano dal governo.
Così la maggioranza degli italiani, riconoscente, si stringe intorno al governo, che li difende dalla minoranza deviante: professori, maestri, statali, immigrati, puttane. E dai piloti e i sindacati, colpevoli del possibile fallimento di Alitalia. Loro, non la politica che ha governato - e retto - le sorti della compagnia di bandiera per anni, decenni.
Oltre ogni ragionevole ragione.
Loro, che, pochi mesi fa, apparivano vittime del disegno del centrosinistra di svenderli agli stranieri, insieme alla compagnia. Tuttavia, oltre al format comunicativo del governo, c'è un'altra spiegazione. E' che ci siamo abituati, assuefatti alla delusione. Non la consideriamo uno emergenza, di cui ha colpa, anzitutto, chi manovra le leve di governo. Ma una situazione normale, per quanto sgradevole. Come la nebbia in val padana d'inverno e le zanzare d'estate. Gli italiani: non possono non dirsi delusi.
A prescindere.
Perché nessuno, è stato capace di sanare i bilanci, abbassare le tasse, rilanciare l'economia, ridurre la paura della criminalità. E se anche avvenisse, non ce ne accorgeremmo. D'altronde, anche se i crimini sono diminuiti, la paura è cresciuta lo stesso. E se il tasso di criminalità in Italia è tra i più bassi d'Europa, noi restiamo il paese europeo più impaurito e deluso.
Il più sfiduciato.
Chiunque ci governi. Berlusconi o Prodi. Per cui, dopo aver provato, invano, a invertire la rotta con il voto, cambiando governo e maggioranza, gli italiani si sono rassegnati. Così, oggi che la delusione è penetrata dovunque: nelle case, nelle famiglie nei vicoli, nei programmi tivù, negli indici di borsa che sembrano bollettini di guerra, nelle stime dei mercati, della produzione e dei consumi: oggi che la delusione è dappertutto, gli italiani hanno smesso di considerarla un accidente. La considerano una perturbazione durevole, uno stato di necessità. Che non è il caso di imputare a qualcuno. D'altronde, chi c'era prima ha fatto di meglio? E' riuscito a darci fiducia? A renderci felici?
Allora, inutile ritorcere la nostra rabbia, la nostra delusione, su chi governa oggi. Teniamocelo.
Accontentiamoci.
Tanto più se riesce a consolarci e a offrirci capri espiatori, a suggerirci che non è colpa nostra (né tanto meno sua). Ma se la delusione non costituisce più uno strumento di delegittimazione del governo, né un metodo di opposizione, allora - scusate la tautologia - per fare opposizione la delusione non serve.
Non solo, ma diventa dannosa.
Un boomerang.
Per fare opposizione occorrerebbe, al contrario, spingere la delusione più in là. Generare speranza, non nuove illusioni.
Ma la speranza è un attributo del futuro.
E il futuro, per ora, è solo una speranza. Pardon: un'illusione, che in pochi si ostinano a coltivare.

sabato 13 settembre 2008

DEDICATO


Non c'è molto da dire riguardo le polemiche volgari seguite alla dedica di Ddr della doppietta al suocero.
"Il Giornale", con la penna di Cristiano Gatti, lo ha insultato pesantemente dandogli del connivente, del boro, del borgataro e del complice. Non varrebbe la pena rispondere a qualunque cosa esca sul giornale del fratello del presidente del consiglio, un foglio che serve solo a incartare le uova, ma sono francamente stanco del razzismo becero, del pressapochismo cialtrone che alberga in quell'ambiente.
Mi servo della penna di Stefano Bocconetti che dalle colonne di "Liberazione" scrive parole che sento di condividere e a Gatti posso solo dire di mostrare lo stesso coraggio quando Berlusconi ribadirà che il mafioso Mangano era una brava persona o quando Alemanno e La Russa difenderanno nuovamente il fascismo.
Anche se dai maggiordomi non puoi mai aspettarti molto.
"E' successo diverse settimana fa.
In quel periodo ci fu qualche titolo sui giornali ma con discrezione.
Con una discrezione inusuale per il nostro paese e la nostra stampa. Come se all'improvviso i giornali avessero scelto di rispettare il dolore di una persona. Anche se si trattava di un personaggio pubblico.
Poi, l'altro ieri la doppietta di Daniele De Rossi in nazionale. Sul secondo gol, sui festeggiamento su quel gol a pochi secondi dalla fine, nessuno ha avuto nulla da ridire. Daniele è stato sommerso dall'abbraccio dei compagni. Un abbraccio liberatorio di una squadra, campione del mondo, che stava vivendo gli ultimi istanti della partita con la Georgia sotto assedio, con tutti e undici gli uomini di Lippi a difesa del vantaggio.
Il «problema», però, c'è stato al primo gol. Dopo il primo, splendido gol. Un tiro da trenta metri che si è andato ad infilare dove nessuno avrebbe potuto immaginare, all'incrocio dei pali. Daniele ha esultato da solo, prima di ricevere l'abbraccio dei compagni. Ha esultato da solo, in modo semplice, com'è nel suo carattere.
Un salto nell'aria, col pugno stretto. Un gesto che in tutto il mondo significa: ce l'ho fatta. Poi, ha rivolto lo sguardo al cielo e ha appoggiato due dita sulle labbra. Anche questo è un gesto di facilissima traduzione: è un saluto rivolto a qualcuno che non c'è più. A chi era dedicato quel gol? Negli spogliatoi, mentre Lippi rispondeva con improbabili commenti sul «dinamismo» degli azzurri ad altrettanto improbabili domande, qualcuno ha chiesto a De Rossi per chi fosse la dedica.
Nessun imbarazzo da parte del centrocampista giallorosso: per il padre di sua moglie.
Una risposta che non è passata inosservata. Non subito ma il giorno dopo. Quando un sindacato, uno dei sindacati dei poliziotti, ha scritto nientemeno che un comunicato per dire che il gesto di De Rossi era «diseducativo».
Non andava fatto. Perchè? Perché era rivolto ad una persona che aveva violato la legge, un bandito. Uno che aveva avuto precedenti con la giustizia. Il sindacato di polizia ha criticato De Rossi e gli ha offerto un suggerimento: la prossima volta dedichi le sue prodezze a degli eroi. Per esempio, alle vittime delle Twin Towers. Dimenticandosi che anche alcune delle vittime dell'11 settembre avevano avuto qualche guaio con la giustizia.
Ma non è finita.
Perché ieri un giornale - un giornale di destra: «Il Giornale» - ha dedicato un lungo fogliettone al caso. Definendo il gesto di De Rossi «imbarazzante e sgradevole». Pure qui, qualche suggerimento al calciatore: si può ricordare il suocero ucciso ma in privato.
Solo in privato.
E ancora: nell'ormai tradizionale conferenza stampa che precede le partite, solerti giornalisti hanno «investito» del problema anche l'allenatore giallorosso, Luciano Spalletti. Ma lei, che ne pensa?, gli hanno chiesto. E forse basterebbe la risposta pacata di uno dei più bravi allenatori italiani, per chiudere la vicenda: «Non è lecito giudicare i sentimenti... Ho letto dei titoli veramente imbarazzanti».Solo che Spalletti - che fra i suoi compiti ha anche quello di tenere lontano i suoi ragazzi dalla violenza di giornalisti mediocri - ha aggiunto che forse «meno se ne parla di questa vicenda meglio è per tutti».
Dal suo punto di vista è giusto.
Ma forse non è giusto per tutti gli altri. Perché quel comunicato del sindacato di polizia, la campagna dei giornali di destra raccontano di una barbarie che ha ormai superato ogni confine. La barbarie di un paese dove si bruciano i campi rom, dove bambini rom vengono torturati in una caserma - e nessun sindacato scrive comunicati di protesta -, un paese dove è vietato tutto, anche chiedere l'elemosina.
Ora il «controllo» arriva anche alla sfera personale, a quel che si prova.
Arriva al dolore. Perché c'è un dolore legittimo. Quello per le tragedie che «il senso comune» considera come sue, che la «maggioranza» - parlamentare e silenziosa - considera accettabili. Così sono permesse le lacrime davanti alle telecamere, così è consentito l'omaggio alle vittime.
Se sono «innocenti». Come quelle degli incidenti stradali o dell'11 settembre.
Niente da fare, invece, se il dolore è rivolto ad una persona che ha sbagliato. Ad un fuorilegge. O meglio: è consentito ma solo nel chiuso della propria stanza. Perché altrimenti si finisce per omaggiare un deviante. Queste sono le nuove leggi.
Dove conta colo cosa si è fatto e cosa si fa.
In una fabbrica come in una sperduta cittadina dell'hinterland romano.
Dove non contano mai le persone.
Con i loro sbagli, i loro errori, i loro sentimenti.
Queste sono le nuove leggi, i nuovi valori. Che rivendicano l'uguaglianza davanti alla morte solo se si tratta dei militari della Repubblica sociale. Ma che poi dividono fra morti buoni e morti cattivi. Fra morti da ricordare e morti da dimenticare.
Daniele ha rotto questo schema.
Con un gesto semplice, immediato.
Spontaneo.
E fra chi festeggia un gol mimando lo sparo di una raffica di mitra e chi manda un bacio al cielo, non c'è dubbio da che parte stare".

venerdì 12 settembre 2008

MALEGRIA



Da un blog dell'inviato di Repubblica, Dario Cresto-Dina:

"A Bologna quasi tutti ti si rivolgono con il tu. E’ bello, dà un senso di campagna, di grandi tavolate, di profumo di salame.

L’altra sorpresa, nei dieci minuti d’attesa per un taxi, sono due ragazzi che s’infilano in una cabina telefonica e parlano d’amore o di qualcosa che gli deve somigliare. Due in appena dieci minuti…Al tempo dei cellulari credevo non potesse succedere.

Il secondo avrà sedici o diciassette anni.

Grida nel telefono: voglio tornare single.

Quando esce gli chiedo come l’ha presa lei.

Gli ha detto: fallo, ma prima restituiscimi i cinquanta euro che ti ho prestato".