domenica 30 settembre 2007

ORE 18: LEZIONE DI CALCIO


Quel che è giusto è giusto.
Ieri pomeriggio l'Inter ha schiantato la Roma e l'ha costretta ad una sconfitta umiliante, perfino forse più di Manchester. Partita mai in dubbio e risultato giusto. Mi dispiace fare i complimenti a Roberto Mancini ma forse i giornalisti sapientoni la smetteranno di insultarlo per l'invidia che una grandissimo ex giocatore è riuscito anche come tecnico pur rimanendo una spanna dietro ai migliori allenatori italiani.
Uno dei suoi più acerrimi nemici è il nostro vecchio amico Roberto Beccantini, inviato de "La Stampa", che ha raccontato la partita, tranne alcuni toni un pò hard, in maniera veramente onesta e noi gli vogliamo dare atto, in questo caso, di aver fatto un buon lavoro.
Sperando con ieri sera di aver chiuso i conti con batoste similari.
"L’Inter sbrana la Roma, che sarà pure la più bella del reame ma nelle ultime tre partite ha raccolto la miseria di due punti e incassato qualcosa come otto reti: due dalla Juventus, due dalla Fiorentina, più le quattro di ieri.
Lo sgorbio iniziale di Mancini e il rosso diretto a Giuly spiegano molto, non tutto. Totti e c. erano riusciti a tornare, casualmente, a galla. È stato lì che l’Inter ha alzato la voce e domato l’Olimpico, costringendo Totti prima alla resa e poi all’abbandono.
Nella guerra dei fazzoletti, succede che a Mancini (Roberto) venga l’idea di scopiazzare Spalletti, una punta sola, Ibrahimovic, con Figo e Cesar a supporto. Né un 4-3-3 ortodosso, né un vero e proprio 4-2-3-1. Ma siamo lì. Certo, Ibra è più punta di Totti, un Totti che, su punizione, disattiva subito l’antifurto interista: Julio Cesar è bravo a smorzarne la saetta e bravissimo, addirittura, a parare da terra lo «schiaffetto» scellerato del Mancini brasiliano.
Non sono passati nemmeno due minuti: arrivederci Roma.La Bella gigioneggia, la Bestia simula sbadigli che, viceversa, si riveleranno morsi letali. Nell’occupare il campo, i campioni squarciano drasticamente il torello degli avversari.
Non che diano spettacolo, tutt’altro, ma limitano i danni, pronti ad addentare il primo boccone randagio. Che poi sia Totti in persona a offrirglielo, è un dettaglio che appartiene alle selvatiche risorse del calcio. E così da un angolo calibrato in maniera oratoriale dal re delle parabole (l’intenzione era servire Pizarro), si scatena il più lungo e ficcante contropiede che l’Inter mai nella vita avrebbe pensato di poter dispiegare proprio all’Olimpico, proprio sullo 0-0 e proprio in una sfida di vertice. Maxwell taglia l’erba, Doni salva il salvabile su Cesar, Giuly si immola sull’incornata di Ibra. In un colpo, rigore ed espulsione.
Un anno fa, dal dischetto, Zlatan fece cilecca; stavolta no.È il 29’. Segnatevi questo minuto. Spacca la partita. L’uomo in meno ingessa una Roma che, per la verità, era già apparsa molle, confusa e sterile. Mancavano Aquilani e Taddei: dove le mettiamo le serenate sciolte alla qualità del mercato romanista? Il primo a non dare segni di reazione è Spalletti. L’alibi Manchester non regge. La gabbia di Dacourt, Figo, Stankovic, Cambiasso e Cesar blinda le fasce, Panucci e Tonetto non sanno che pesci pigliare, Pizarro ne azzecca poche, De Rossi non si stacca dalla garitta, a Samuel e Cordoba non resta che dare una spolveratina ai mobili.
Si gioca per onor di firma anche se, in avvio di ripresa, Pizarro sfrutta una leggerezza di Maxwell e spalanca la porta a Perrotta. Mancini aveva appena «licenziato» Dacourt e Ibrahimovic, toccato duro da Juan. Dentro Crespo e Cruz. Due attaccanti. Il minimo, contro una squadra in dieci. Il tempo di incassare il pareggio e tirarsi su le maniche.
Dopodiché, nel giro di tredici minuti, fuoco alle polveri: palo di Cruz, gol di Crespo al culmine di un ping pong Doni-Cambiasso, gol di Cruz, dal limite, su tocco di Figo, gol di Cordoba, di testa, sempre su iniziativa del portoghese. Morale: 1-4, come Roma-Juventus del 19 novembre 2005.
Gli ingressi di Vucinic, Cicinho ed Esposito (al posto di Totti) ingrassano il tabellino, non la partita, diretta in punto di regolamento da Rizzoli. Mexes e Cesar gradirebbero menarsi: li dividono a un passo dal primo round.
Che botta, ragazzi. Non parlo della contrattura di Perrotta (auguri). Parlo del risultato. Crespo, Cruz: i cambi hanno contribuito a scavare la differenza, introdotta dall’errore di Mancini e accentuata dal «sacrificio» di Giuly.
Forse, avrebbe fatto meglio a non immolarsi. Gol per gol, la Roma sarebbe rimasta a pieno organico. L’1-0 di Supercoppa sembra appartenere a un altro secolo. Sampdoria, Roma: l’Inter si è tolta qualche sassolino.
E Roberto Mancini, così a naso, qualche macigno".

giovedì 27 settembre 2007

MUTU DAVANTI AI TIRI MANCINI...


Solo per i complimenti all'articolo dell'inviato del Corriere dello Sport a Firenze, fiorentino di nascita e viola di cuore, Alberto Polverosi:
"FIRENZE - E’ stata una partita così bel­la che solo una vittoria avrebbe potuto sciuparla.
Paradosso, certo, ma Fioren­tina e Roma hanno giocato un calcio tan­to spettacolare da non meritare di per­dere.
Stupenda la Viola per 90 minuti, fantastici i giallorossi nel rispondere col­po su colpo.
Grandioso Mutu, che ha se­gnato su rigore col cucchiaio alla Totti, grande tutta la Roma anche nei momen­ti in cui ha sofferto di più. Spalletti non aveva il suo capitano e forse per questo è mancata la stoccata letale, ma dalla sua squadra ha avuto risposte stupende.
Ieri sera, sul Franchi fradicio di piog­gia, si è visto davvero il meglio del cal­cio italiano di questo momento. C’erano due squadre che hanno giocato palla a terra, in piena velocità, attaccandosi in ogni settore del campo. C’è stato, è vero, qualche errore nei passaggi, ma era pro­prio quel ritmo infernale a impedire che ogni tocco fosse anche preciso al milli­metro.
Il primo tempo si è chiuso con la Roma in vantaggio, ma senza che la Fio­rentina lo meritasse. Anzi. Come nume­ro e qualità di occasioni da gol, i viola sono stati superiori alla Roma, hanno controllato meglio la manovra e se al po­sto del lento (troppo lento) Liverani di ieri avessero avuto un centrale più svel­to, i giallorossi avrebbero faticato ancor più a controllare il loro arrembaggio.
Però la storia è nota, se alla Roma con­cedi non un varco, ma solo uno spiraglio, sei fregato. E’ successo ai viola che, par­titi bene, sono stati avvisati dopo 11' da una conclusione di Mancini in fondo a un’azione nata da una delle palle smar­rite per strada da Liverani. Mancini ha segnato al 19', con un tocco straordina­rio, degno del suo immenso repertorio: cross di Cicinho, velo di Giuly, con la co­da dell’occhio il brasiliano ha visto Frey qualche passo fuori dalla porta e lo ha battuto con un ‘cucchiaio’ di tottiana me­moria.
In 5 minuti la Fiorentina ha pa­reggiato per un’uscita sbagliata da Doni (con spizzata di De Rossi) su angolo di Semioli: Gamberini, sul secondo palo, ha messo dentro.Da allora, fino al vantaggio di Giuly, è stata tutta Fiorentina. Bella, brillante, aggressiva, molto tecnica quando passa­va da Mutu, in certi momenti imprendi­bile per la difesa romanista. Che soffri­va, come si era già visto in occasione del gol di Gamberini, sul gioco aereo. Cicin­ho ha salvato a due metri dalla porta im­molandosi su un tiro di Mutu, che ha col­pito poco dopo la base del palo esterno e poi ha costretto Doni a una grande para­ta su colpo di testa.
Nel frattempo, il guardalinee Comito aveva fermato Man­cini davanti alla porta per un fuorigioco che non c’era ( la palla gli era arrivata da Ujfalusi) e nella stessa azione su Vu­cinic era stato commesso un fallo da ri­gore.Taddei è uscito per infortunio, Spal­letti ha inserito Aquilani come trequar­tista e Giuly si è spostato sulla destra. Mossa perfetta: è stato Aquilani a dare al francese la palla del 2-1. Pasqual ha sba­gliato il movimento e Giuly non l’ha per­donato.
Ha cambiato anche Prandelli, a inizio ripresa, ma per scelta. Fuori Live­rani, dentro un altro esterno, Santana, squadra ridisegnata col 4-4-2 con Mutu in appoggio a Pazzini. A Montolivo è an­dato il comando delle operazioni. Per un quarto d’ora, la Roma non è più uscita, la spinta della Fiorentina era robusta, ma ha prodotto una sola conclusione di Uj­falusi, in area, finita altissima.
E’ stato Cicinho a rompere la pressione dei vio­la con un’altra discesa minacciosa con­clusa da Vucinic ma deviata in angolo da Gamberini. Quando è entrato Panucci al posto di Mancini, Cicinho è salito come esterno offensivo.Prandelli ha aumentato il peso dell’at­tacco con Vieri al posto di Semioli e Mu­tu è tornato sulla fascia. La Fiorentina ha pareggiato su rigore: Ferrari ha ste­so Vieri dopo che Mutu aveva steso mez­za difesa romanista e piazzato l’assist per Bobo.
E’ stato il rumeno a segnare con un cucchiaio: Totti era a Roma, ma sembrava che fosse qui. I viola hanno raggiunto il 2-2 mentre la Roma era già sfuggita alla loro pressione e Frey si era ampiamente riscattato della leggera di­strazione con tre interventi stupendi. Donadel è stato espulso per il secondo giallo, ma in 80 minuti era stato l’anima dei viola.
La Roma ha cercato di sprinta­re nel finale, ma nemmeno la Fiorentina ha smesso di attaccare.
Da applausi tut­t’e due, ma applausi sinceri".

mercoledì 26 settembre 2007

LA PORTI UN BACIONE A FIRENZE


Mai articolo mi ha trovato così d'accordo.
Stasera magari perdiamo pure però alcune cose andavano dette e grazie a Stefano Petrucci da "Il Romanista" di oggi:
"Le due squadre che giocano il calcio più bello d'Italia? Spalletti alla vigilia non l'ha detto, e neppure Prandelli.
Magari lo pensano: sono diversi in mille cose, non nella cultura del lavoro, non nel modo di inseguire il risultato attraverso il gioco, non nella capacità di costruire formazioni che sappiano attaccare con costanza senza farsi sommergere di gol. Logico che nutrano stima l'uno per l'altro, normale siano orgogliosi delle proprie creature.
Strano destino, il loro: si sono incrociati sulla panchina della Roma, sia pure a un anno di distanza; hanno entrambi il viola nel cuore, Spalletti per antica simpatia giovanile, Prandelli soprattutto per contratto, ma anche per affetto e gratitudine. La loro storia è quasi lo specchio dell'intrico che pare legare Roma e Fiorentina da sempre.
Prandelli fu la prima scelta di Sensi (e di Franco Baldini), quando Capello sposò la Juve: non fosse stato travolto da problemi famigliari - e ambientali - più grandi di lui, si sarebbe legato al giallorosso per chissà quanto tempo. Quando sbarcò a Trigoria, fotografò i tifosi in festa col telefonino, girando subito le immagini al figlio. Quando la lasciò, dopo un paio di mesi di sofferenze e di dubbi, le lacrime agli occhi.
Spalletti ne raccolse in fondo l'eredità, sia pure con dodici mesi di ritardo, a capo di due clamorosi fallimenti (Voeller e Delneri) e di un affannoso salvataggio (Bruno Conti). Forse Prandelli avrebbe compiuto la stessa opera di ricostruzione, di certo Luciano l'ha avviata e poi gestita in modo straordinario.
Stasera si ritrovano faccia a faccia, in uno stadio che si annuncia stracolmo. Orfani dei bomber che li hanno affiancati con successo nelle ultime stagioni (Toni e Totti), schiacciati all'angolo da una classifica che impone a entrambi di cercare l'impresa: la Roma se perde viene scavalcata in vetta, la Fiorentina se non vince dovrà ridimensionare i sogni di gloria che per ora si sforza di tenere sottotraccia.
Un filo misterioso, s'è detto, lega le due squadre chiamate oggi a un faccia-a-faccia per tanti versi spietato, i viola esaltati dalla prospettiva-soprasso, i giallorossi smaniosi di cancellare la beffa juventina. Senza pescare troppo nel passato, Fiorentina-Roma è la sfida del rocambolesco spareggio-Uefa del 1989, ultimo gol in carriera di Roberto Pruzzo, infilato ahinoi nella porta giallorossa.
È la partita del leggendario "Siamo tutti parrucchieri" del 9 aprile 2001, del grottesco posticipo imposto per ragioni di ordine pubblico, giustamente salutato dal sarcasmo tifoso: finì 3-1 per i viola, ricordiamo con amarezza, allora guidati da Roberto Mancini. Una batosta terribile. Ma, si sa, la Roma di Gabriel Batistuta strappato da Sensi a suon di miliardi proprio al vecchio patròn Cecchi Gori e quel giorno rinnegato dai suoi ex adoratori, di lì a due mesi avrebbe vinto il suo terzo scudetto.
E ancora: Fiorentina-Roma è stato anche il crocevia della rinascita, la partita che in coppa Italia - era il 16 marzo del 2005 - avviò in qualche modo la rinascita, sulle ceneri del dopo-Capello. Si vinse ai rigori, con la Roma ridotta in nove da due espulsioni nei supplementari (Ferrari e De Rossi), in cima a una roulette russa da mozzare il fiato. C'era Bruno Conti in panchina, quel pomeriggio di due anni e mezzo fa. E Curci in porta. E Cassano in campo, con le sue bizze. E Scurto, capace di realizzare il rigore decisivo, dopo il pesantissimo errore del barese. La Roma agguantò le semifinali di coppa Italia, in mezzo a quell'annata maledetta. Firenze fischiò i giallorossi che abbracciavano Conti a centrocampo, mentre Cassano infilava cupo la porta degli spogliatoi. Consolatevi con la coppa, ci gridavano, tanto finirete in B. E invece, di lì a poco, la Roma si salvò due volte: andando a vincere a Bergamo alla penultima di campionato (gol di Cassano) e scegliendo Spalletti, incontrato e battuto nelle semifinali della coppa poi lasciata all'Inter, come uomo della ricostruzione.
Stasera ci risiamo.
Lo stadio è sempre quello, il clima inospitale pure. A Firenze non siamo mai piaciuti. Meno che mai dopo Calciopoli.
Con un'interpretazione di dietrologia degna di un intervento psichiatrico, ci accusano di avergli strappato la partecipazione alla Champions League di due anni fa. Più con Della Valle, che come hanno dimostrato valanghe di intercettazioni finì a testa in giù nel pozzo del Moggi-gate, ce l'hanno con la Roma, promossa al secondo posto del campionato ridisegnato dalla retrocessione della Juve e dalle penalizzazioni di altri club, quello viola in testa.
Più che negli errori propri, credono in complotti filo-giallorossi che chissà mai avrebbe ordito.
Difficile leggere l'anima tifosa, facile prevedere un'altra giornata di quelle da raccontare ai nipotini.
Speriamo ancora una volta col sorriso sulle labbra".

martedì 25 settembre 2007

MALEDETTA PRIMAVERA



Tra l'altro proprio ieri siamo entrati in autunno...

Ora, Mike Bongiorno è quello che è, una mummia potrebbe dire qualcuno, un pò attempato direbbe qualcun altro, una cariatide aggiungerebbe un altro ancora e forse alla fine saremmo tutti d'accordo nel dire che si parla comunque di una vera e propria istituzione.

Chiamato a condurre le serate di Miss Italia (si potrebbe poi aprire un dibattito sulla valenza di simili serate ma non è il mio compito) sceglie di avere come partner Loretta Goggi che francamente io credevo passata a miglior vita o avviata sulla strada di una meritata pensione, invece scopro avere 56 anni, devo dedurre che invecchio solo io.

Invece di stappare champagne e ballare fino a mattina la nostra amica Loretta ti pianta una scena degna della migliore attrice hollywoodiana o di una Valeria Marini innervosita. Accusa platealmente Mike di averla fatta entrare in diretta dopo 20 minuti e con una voce tremante dall'isteria spara ai quattro venti "Me ne vado, me ne vado" e mentre guadagna l'uscita mormora "Ma stiamo scherzando?".

Il povero Mike il cui colorito bianco fa pendant con lo smoking del medesimo colore rimane interdetto senza saper fare e aiutato dalla intraprendente miss Italia in carica Claudia Andreatti continua la conduzione fino al ritorno in scena della figliol prodiga Loretta che senza scusarsi riprende ancora Bongiorno e canta un pezzo con le solite imitazioni che non hanno mai fatto ridere nessuno (stavolta imita Milva, BASTA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!).

Che dire? Mamma mia che amarezza... Speriamo che sia l'ultima volta che si abbia avuto la possibilità di vedere la Goggi che sono anni che circola tra tv e teatro senza portare nulla di significativo nelle nostre vite.

Un consiglio Loretta? Divertiti in quanto come cantava Cindy Lauper nei ruggenti anni '80 Girls Just Wanna'have fun (se non la ricordi ci pensa la sempre attenta Youtube),

http://www.youtube.com/watch?v=XH3vvXi8k8M&mode=related&search=

P.s.: un caro saluto al mitico ed ingestibile Francis, ci vediamo al concerto di Liga?

giovedì 20 settembre 2007

DINAMICI...


E uno...
Il racconto ispirato di Tonino Cagnucci da "Il Romanista" di oggi:
"Simone Perrotta "a Reggina" era stato il peggiore in campo, ieri ha fatto il gol dopo i sette secondi e gli undici passaggi (contati) più belli della storia del calcio;
il Real Madrid, invece, pare che abbia richiesto Marco Cassetti al posto di Salgado e Sergio Ramos (offerta fatta in busta con dentro, sembra, addirittura Comotto):
nella Roma gli ultimi sono già i primi, quando giochi come in paradiso (pure fosse per qualche sprazzo come ieri ) è così.
Vangelo secondo Spalletti: quegli undici passaggi contati contano più dei quattordici con cui l'Olanda e Cruijff si presero il rigore a Monaco di Baviera dopo un minuto.
Dopo 33 anni (l'età giusta) s'è rivisto qualcosa di simile.
Stadio Olimpico di Roma, terra promessa: questa squadra non è più a venire, e questa Champions League non sarà solo un'avventura.
Gli ultimi, quelli dell'1-7, sono già i primi.
In Italia come in Europa: il Manchester è dietro, l'Inter perde contro Roberto Carlos in Asia, mentre Tonetto fa il cross perfetto.
Perfetto.
O quasi.
Se c'è una cosa, ma proprio una cosetta, che non va in quest'altra notte di Coppe e di Campioni (e gli esami non finiranno mai veramente) è il dato dei paganti: 31.508. Cose che una volta per la Roma erano da stadio di Valmontone («A Valmontone, giocate a Valmontone...») e che invece nel calcio moderno non sono nemmeno da buttare via, anzi se c'è una felice anomalia nel pallone del duemila (e sette) è la passione della gente romanista.
Chissà se tra quei trentamila e passa (grandissima la Curva Sud, come prima e più di prima, sempre piena) c'era anche il cretino che tirò dalla supermegatribunad'onoredeche tre anni fa a Frisk la monetina? D
ove sta adesso?
Lui boh, quello tontolone della Juve condannato, la Roma prima. Eccola l'importanza di questi 3 punti, di quest'altra vittoria senza macchia e senza paura (Doni non prende gol da quando si faceva la porta col gessetto sotto casa sua): la nemesi contro la Dinamo Kiev è perfetta, l'esorcismo di quella serata maledetta è compiuto.
I tre anni che sono passati, sono passati tutti ieri, in un pugno che si apre come quegli undici passaggi contati (o erano 28?) della fantastica super-fantastica ragnatela punk romanista (è stata rete appena s'è dipanata).
Non può essere un caso mai che ieri, a parte Perrotta (gol di testa e assist con la testa), De Rossi (De Rossi è più o meno sempre il concetto stesso di paradiso), Totti (il messia tout court) Tonetto-Carlos (date a Roberto Mancini il fazzoletto che s'è persa Desdemona col Cassio) Juan (One) il migliore sia stato Philippe Mexes. A un certo punto sembrava dovesse uscire lui, quando era già la fine, e invece s'è rivolto alla panchina, ha fatto segno di sostituire qualcun altro: questa partita voleva giocarsela tutta, era una cosa che gli era rimasta, come dire... sospesa.
Il discorso interrotto della Coppa dei Campioni nell'incubo del Teatro dei Sogni dell'Old Trafford, la Roma l'ha ripreso nel migliore dei modi e dei mondi possibili: è stata la centesima vittoria in Europa della nostra storia, e Totti ha segnato quasi il doppio con questa maglia storica: quello di ieri è stato il 190.
Numeri tondi, perfetti e anche più grandi, se uno scopre che la Dinamo Kiev veniva da sette vittorie di fila, che, come un vecchio ritornello, gli ucraini erano-sono avanti nella preparazione, che questa squadra solo adesso sta cominciando a giocare ogni tre giorni, che Mancini (Amantino) era appena al suo esordio, che anche Ferrari è tornato, che in panchina c'era gente che ha vinto da sola questa coppa, e che fra quattro giorni, anzi già tre, da queste parti arriva la Juventus.
Ecco, adesso arriva la Juventus e qui nessuno ha più paura. Perché non chiamatelo big match quest'incontro con la neopromossa, perché nel calcio è possibile che gli ultimi diventino i primi anche perché quelli che arrivavano sempre primi sono arrivati già ultimi.
Anzi, retrocessi.
Anche quello è stato un passaggio in paradiso.
Un undici più uno.

lunedì 17 settembre 2007

I TRENI DI REGGIO CALABRIA


Non starò qui a magnificare le sorti magnifiche e progressive dell'As Roma dopo 3 giornate.
Non starò qui a fare stupidi confronti tra un leggendario Juan ed un Chivu con la spalla lussata nelle brume di Appiano Gentile.
Volevo solo dire una parola sul comportamento incivile della gente di Reggio Calabria.
Rigore netto negato a July, silenzio, espulsione dopo un fallo criminoso di Valdez, proteste, e fin qui siamo nella normalità. Ma di fronte ad una doppia simulazione dell'illustre carneade Ceravolo comincia il finimondo suggellato dal raddoppio del Capitano.
Partita sospesa, lancio di bottigliette e di seggiolini in campo, insulti e spintoni a Tempestilli e ai giornalisti delle radio private come Zampa e Paglia che avevano l'unico torto di star lì a lavorare. Il presidente Foti, squalificato lui e la squadra per i fatti di Calciopoli, in piedi sulla balaustra, novelllo Duce, ad arringare la folla.
Che pena.
Che squallore.
Che tristezza.
Pensare che Reggio Calabria ha problemi ben più gravi ma il popolo bue non sa far altro che arrabbiarsi per una partita di calcio. Lo stesso popolo bue che quando si vede fare torti dagli squadroni del Nord fa pippa e accoglie i dirigenti delle suddette con inchini e moine pur di guadagnare un pippone, uno scarto delle "grandi" in prestito.
Ma la colpa è anche della stampa, dei teatrini televisivi (vedere la crisi isterica di Sconcerti contro Spalletti su Sky) che hanno tirato su un ritratto non positivo della Roma, del Capitano e del resto, dando la stura a comportamenti simili che chi segue la Roma sa che sono la norma su quasi tutti i campi italiani.
Comunque, dammi i tre punti e non chiedermi niente...