domenica 30 dicembre 2007

BUON ANNO...



Da un'agenzia di pochi minuti fa:

TORINO - E' morto Giuseppe Demasi, 26 anni, il settimo operaio ustionato nell'incendio del 6 dicembre alla Thyssenkrupp di Torino.

martedì 25 dicembre 2007

NATALE

Primo Natale da blognauta e primo giorno in balia dell'Ipod e di Itunes.

La tecnologia è oramai penetrata nella mia vita ed io non posso fare altro che opporre una tenue resistenza, resistenza che nulla può di fronte a quella che resta l'unica festa per eccellenza.

Una festa che unisce laici e cattolici, credenti e non credenti in un tripudio di gioia, di pacchi da scartare, di festoni da riempire, di alberi da addobbare, di presepi da innevare e di stomaci da riempire.

Tanti auguri a tutti, di cuore.



Francesco De Gregori, Natale (1976)



C'è la luna sui tetti e c'è la notte per strada

le ragazze ritornano in tram

ci scommetto che nevica, tra due giorni è Natale

ci scommetto dal freddo che fa.

E da dietro la porta sento uno che sale ma si ferma due piani più giù

un peccato davvero ma io già lo sapevo che comunque non potevi esser tu

E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia e raccontami quello che fai se cammini nel mattino e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai.

E tu scrivimi, scrivimi per il bene che conti per i conti che non tornano mai

se ti scappa un sorriso e ti si ferma sul viso quell'allegra tristezza che c'hai

Qui la gente va veloce ed il tempo corre piano come un treno dentro a una galleria

tra due giorni è Natale e non va bene e non va male

buonanotte torna presto e così sia.

E tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia e raccontami quello che fai

se cammini nel mattino e ti addormenti di sera e se dormi, che dormi e che sogni che fai.

venerdì 21 dicembre 2007

UN SACCA' DI MANNA


Perchè perdere tempo a scrivere, a sgolarsi, a fare i moralisti quando c'è qualcuno che lo fa meglio di te.
Da "La Repubblica" di oggi l'illuminante pezzo, in prima pagina, di Curzio Maltese:
I SETTE MINUTI DEL PADRONE
"Per capire cos'è stata la politica ai tempi di Berlusconi un saggio serve meno di una telefonata di sette minuti fra il "Presidente" e "Agostino" che chiunque può scaricare dal sito di Repubblica e L'espresso.
Ancora una volta un'intercettazione disvela per caso il vero volto del potere in Italia.
Ancora una volta gli intercettati, Berlusconi in testa, reagiscono lamentando la violazione della privacy, senza mai entrare nel merito dei contenuti.
Devastanti.
Andiamo alla scena.
Protagonisti il presidente, naturalmente Berlusconi, e Agostino Saccà, direttore della fiction Rai, l'uomo più potente della prima azienda culturale italiana, in teoria il capo della concorrenza a Mediaset.
I rapporti sono chiari dal "pronto".
Saccà dà del "lei" a Berlusconi e lo chiama sempre "presidente".
Berlusconi risponde con il "tu" a Saccà, lo chiama "Agostino" e lo tratta come i servi ai tempi di Swift.
Nei sette irresistibili minuti di conversazione, dai quali forse un giorno una Rai libera trarrà finalmente una bella fiction, si mescolano generi teatrali, perlopiù comici, e argomenti.
Si parla di televisioni, attrici raccomandate e politica. Senza soluzione di continuità perché sono la stessa cosa.
"Agostino" declama dall'ingresso in scena la sua natura di servo contento.
Batte le mani al padrone, che fa il ritroso, lo gratifica di "uomo più amato d'Italia" ("lei colma un vuoto nel Paese, anche emotivamente"), usa il "noi" di parte per vantare la sua fedeltà. "Abbiamo mantenuto la maggioranza nel consiglio d'amministrazione Rai".
Quindi, sempre in posizione genuflessa, il servo Agostino porta idealmente la bocca dalla scarpina rialzata del signore all'orecchio per sussurrargli i nomi dei traditori.
Non quello "stronzo" di Urbani, come pensa il signore ma "i nostri alleati", An e Lega, "che hanno spaccato la maggioranza per un piatto di lenticchie".
Lo implora di "richiamarli all'ordine".
Il Presidente prende nota e passa alle comande di giornata.
Ha bisogno che vada avanti la fiction sul Barbarossa ("Bossi mi fa una testa tanta...").
Il fido Agostino acconsente con entusiasmo, ma segnala che il regista Renzo Martinelli ha creato problemi vantandosi troppo con la Padania. Il Martinelli è uno di quegli intellettuali molto di sinistra con eccellenti rapporti a destra e con Mediaset, eppure sempre liberi e alternativi e "contro", checché ne dicano alcuni moralisti borghesi di merda.
Nella sintesi di Saccà, a tratti acuta, "un vero cretino".Comunque non c'è problema, assicura il boss Rai.
La fiction s'ha da fare "perché poi Barbarossa è Barbarossa, Legnano è Legnano".
Argomenti inoppugnabili. Senza contare l'autocitazione. Saccà è infatti il geniale inventore dello slogan "perché Sanremo è Sanremo".
D'altra parte, insiste il servitore, il padrone è così modesto, così liberale, gli chiede sempre tanto poco che è un piacere contentarlo.
"Per la verità, ogni tanto ti chiedo di donne", lo corregge Berlusconi, introducendo la seconda comanda. Si tratta di piazzare la solita Elena Russo e una certa Evelina Manna, per conto di un senatore della maggioranza di centrosinistra col quale Berlusconi tratta la caduta di Prodi.
"Io la chiamo operazione libertà" chiarisce Berlusconi, che quando non racconta barzellette, rivela un involontario ma formidabile sense of humour.
Esaudito il terzo desiderio, il genio Saccà, invece di rientrare nella lampada, come nella tradizione, continua a profondersi in inchini e profferte di servigi.
Tanto che perfino Berlusconi si stufa e lo liquida.
L'intercettazione è allegata all'inchiesta per cui Berlusconi è indagato con l'accusa di corruzione per la Rai e per il mercato dei voti, come ha rivelato Giuseppe D'Avanzo su Repubblica.
In Italia, per effetto del combinato disposto di riforme di giustizia promosse da destra e da sinistra, si sa che i processi a imputati eccellenti finiscono tutti in prescrizione.
In assenza di una verità processuale, le intercettazioni servono dunque nella pratica a farsi un'idea del Paese: e l'ascolto, fornisce anche un'idea sulle persone.
Il Paese degli Agostini e dei Berlusconi è una nazione dove la politica non governa nulla, tranne la televisione.
Al singolare, perché la telefonata tra il leader della destra e Saccà rivela come il sistema berlusconiano sia una vera "struttura delta" che controlla l'universo Tv.
Per necessità, il padrone della televisione è diventato il padrone della politica.
Usa l'una per fare l'altra e viceversa.Ci sarebbe un sistema semplice per interrompere questa perenne fonte di corruzione. Prendere un canestro, ficcarvi dentro in bussolotti una ventina di leggi europee sui sistemi televisivi, quindi estrarne a sorte una.
Questo sistema, che rispecchia più o meno la logica seguita per discutere la riforma elettorale, non è mai stato preso in considerazione. Per quanto la riforma televisiva figurasse nei programmi del centrosinistra, prima e seconda versione.
I leader del centrosinistra, comunque si chiamino, alla fine s'innamorano dell'idea di poter trattare con Berlusconi, portatore di un conflitto d'interessi così gigantesco e pervasivo, accordi istituzionali "nell'interesse della collettività".
Ora, l'interesse di Berlusconi per la collettività è ben illustrato dal suo dialogo con il boss della tv pubblica.
Non si tratta di demonizzare i patti fra destra e sinistra. Se per esempio la sinistra e una parte di destra si trovassero finalmente ad approvare una decente e sempre più urgente riforma della Rai e dei monopoli televisivi, saremmo in prima fila a festeggiare il valore "bipartisan" dell'accordo.
Ma allora si rischierebbe davvero di voltar pagina, di cambiare una politica che così com'è farà schifo ma garantisce a tutti un posto al sole, una fiction, una quota raccomandati e fidanzati, il proprio Saccà pronto ad esaudire i desideri".

martedì 18 dicembre 2007

SPECIALE PER VOI



Da "La Repubblica" di oggi così scrive Giuseppe D'Avanzo:


UN SOLDATO SLEALE


"Che il generale Roberto Speciale fosse un soldato sleale, s'era avuto già modo di apprezzarlo.
Che un militare che giura fedeltà alla Repubblica e all'osservanza della Costituzione potesse spingersi fino a un gesto eversivo di insubordinazione allo Stato democratico, anche il più severo dei suoi critici non avrebbe potuto immaginarlo.
Invece, è accaduto, accade - ed è la vera questione da affrontare - nell'indifferenza di istituzioni distratte o intimidite, nel silenzio di una politica incapace di guardare oltre la propria mediocre convenienza del momento.
Come se in questa storia non fossero in gioco le ragioni prime di una democrazia: la legittimità di un governo eletto dal Parlamento; le sue prerogative di organo costituzionale chiamato ad assolvere il compito di direzione politica del Paese. E' questa legittimità costituzionale che il generale Speciale, con la sua grottesca lettera di dimissioni, nega, rifiuta, disprezza, umilia.
E' alquanto minimalista - quasi gregario - definire soltanto "irrituale" quella lettera, come capita a Romano Prodi. Assai poco convenzionale è per il Quirinale dichiarare - nei fatti - ricevibile quella missiva offensiva per il governo, per poi trasmetterla a Palazzo Chigi.

L'iniziativa di Speciale è davvero soltanto irrituale e il destinatario della lettera può essere correttamente il capo dello Stato?
E' difficile sostenerlo e pare grave accettarlo senza batter ciglio. Il generale infedele sostiene di avere conquistato "il diritto" ad essere comandante della Guardia di Finanza: "gli spetta", dice. E' un diritto che nessuno gli ha riconosciuto.
Non glielo riconoscono a parole nemmeno i suoi avvocati, figurarsi se poteva riconoscerglielo con una sentenza la magistratura amministrativa.


Non è, infatti, nella disponibilità di un tribunale amministrativo il rapporto fiduciario del governo, di cui il capo di un corpo militare deve godere.
Questa fiducia, al di là delle leggerezze amministrative commesse dallo staff di Tommaso Padoa-Schioppa, Roberto Speciale non ce l'ha, l'ha irrimediabilmente perduta.
Tanto basta per dire che mai il generale sarebbe ritornato al comando della Finanza, come conferma anche il ministro dell'Economia. Al contrario, autoproclamatosi "di diritto" comandante - manco fossimo in una Repubblica delle Banane - il generale, bontà sua, decide di dimettersi.

La grammatica istituzionale, nelle sue mosse, degrada a boutade. Prendiamolo sul serio soltanto per un momento. Ritiene di essere ancora il comandante generale della Guardia di Finanza. Vuole abbandonare, offeso nella sua dignità di soldato. Nelle mani di chi deve farlo, di chi ha il dovere di farlo?
La legge è lì per essere rispettata. Articolo 1 della legge 23 aprile 1959, n. 159: "Il Corpo della Guardia di Finanza dipende direttamente e a tutti gli effetti dal ministro della Finanze". Un principio ordinamentale così netto ed esplicito (inconsueto in un sistema giuridico che ama l'indeterminatezza) avrebbe dovuto imporre al generale Speciale di rimettere il mandato - che si è caricaturalmente assegnato - nelle mani del ministro dell'Economia.
Non lo fa perché "non vuole collaborare con questo governo", scrive. Poco male, il governo potrà soltanto guadagnarci.
La faccenda si potrebbe liquidare così soltanto se non fosse assai sinistro che un generale, al comando di 59.874 militari in armi, non accetta di essere alle "dirette dipendenze" di un governo che gode della piena fiducia del Parlamento.
Roberto Speciale non ne riconosce il potere, la legittimità, il dovere costituzionale di decidere dell'indirizzo politico e amministrativo del Paese e quindi anche di scegliere chi deve essere o non deve essere alla guida di un corpo, "parte integrante delle Forze Armate dello Stato e della forza pubblica". Scrive al presidente della Repubblica, perché "è al di sopra di tutto, anche della politica, anche del governo".
E' uno schiaffo all'Esecutivo, che non sorprende in un soldato infedele. Stupisce che il Quirinale accetti di ricevere la lettera del generale. Che, implicitamente, acconsenta che Speciale possa dimettersi da una responsabilità che non ha più e che nessuno - tanto meno il governo - gli ha riconosciuto.
Meraviglia che il presidente della Repubblica acconsenta che un generale non si dimetta nelle mani dell'autorità politica a cui è sottordinato, di cui è dipendente.
Confonde che il capo dello Stato accetti di svolgere il ruolo del tutto improprio di destinatario di una lettera che abusivamente gli è stata consegnata, chiudendo gli occhi sul disprezzo che il generale assegna al governo per di più prendendo per buono un presunto "spirito di servizio verso le istituzioni".
E' un pericoloso, e inedito, precedente nella storia della Repubblica.

Dovremo presto attenderci che il capo della polizia rifiuti di dimettersi nelle mani del ministro dell'Interno o che il capo di Stato maggiore della Difesa non consegni il suo addio al ministro della Difesa, tanto del governo si può fare a meno?
La sensazione è che questo "caso Speciale", nato dalla debolezza del governo e dalla volontà di compromesso con un minaccioso network spionistico e illegale, di cui il generale è stato attore di prima fila, moltiplicherà le sue muffe, se non affrontato con energia.
Di compromesso in compromesso, di timidezza in timidezza, siamo arrivati alla delegittimazione dei poteri del governo.
Considerare quel soldato sleale e infedele, come pare fare oggi la maggioranza, soltanto un dissipatore di risorse pubbliche per qualche viaggio a sbafo in elicottero non è una buona strada.

Meglio sarebbe ricordare la proposta del generale "tutto d'un pezzo" di violare i segreti d'ufficio avanzata al vice-ministro Visco (e rifiutata).
O tenere a mente quando, con il governo di centro-destra, i segreti della Guardia di Finanza diventavano pubblici per essere utilizzati, in piena campagna elettorale, da Silvio Berlusconi con denunce alla magistratura.

Pensare di lisciare il pelo a quel soldato e ai soldati come lui, è peggio di una cattiva idea.

E' un errore politico e istituzionale".

lunedì 17 dicembre 2007

LE MIE PAROLE

Quando davvero non serve altro, quando davvero un testo parla da solo.
Una canzone di qualche anno fa, scritta da Pacifico (colui che ha accompagnato in primavera Fabio Volo nella trasferta parigina di Italo-francese su Mtv), e cantata da Samuele Bersani per una pausa ed una riflessione tra un regalo ed una decorazione.

Le mie parole sono sassi
precisi aguzzi pronti da scagliare su facce vulnerabili e indifese
sono nuvole sospese gonfie di sottointesi che accendono negli occhi infinite attese
sono gocce preziose indimenticate
Sono lampi dentro a un pozzo, cupo e abbandonato
un viso sordo e muto che l'amore ha illuminato
sono foglie cadute promesse dovute che il tempo ti perdoni per averle pronunciate
sono note stonate sul foglio capitate per sbaglio tracciate e poi dimenticate
le parole che ho detto, oppure ho creduto di dire
lo ammetto strette tra i denti
passate, ricorrenti
inaspettate, sentite o sognate...

Le mie parole son capriole
palle di neve al sole
razzi incandescenti prima di scoppiare
sono giocattoli e zanzare, sabbia da ammucchiare
piccoli divieti a cui disobbedire
sono andate a dormire sorprese da un dolore profondo che non mi riesce di spiegare
fanno come gli pare
si perdono al buio per poi ritornare
Sono notti interminate, scoppi di risate
facce sopraesposte per il troppo sole
sono questo le parole
dolci o rancorose
piene di rispetto oppure indecorose
Sono mio padre e mia madre
un bacio a testa prima del sonno
un altro prima di partire
le parole che ho detto e chissà quante ancora devono venire...
strette tra i denti risparmiano i presenti
immaginate, sentite o sognate
spade, fendenti
al buio sospirate, perdonate
da un palmo soffiate

http://www.youtube.com/watch?v=obGpTr3atbc

domenica 16 dicembre 2007

SOS SHARK...


Tremate, tremate, date un occhio alle spiagge, alle onde increspate, a quel movimento, a quel rigoletto di schiuma che si forma mente una bella ragazza in costume fa il bagno inconsapevole.
Una bracciata a stile libero, ma una pinna, le urla agghiaccianti, il sangue, lei che viene portata giù, risale, respiro spezzato, 5 secondi di silenzio, atroce, e Gnaaaaaaammm, ce la siamo giocata, buon appetito,
mentre la pinna affiora pericolosamente sulla cittadina di mare inconsapevole che continua a ballare, a diveertirsi, inconsapevole....
Ecco, se credete che le cose vadano come in un volgare b-movie degli anni' 70 correte da Enrico, correte da Sampla per "rinfrescarvi" le idee e poter fare "un tuffo dove l'acqua è più blu".
E come colonna sonora il buon vecchio Nico Fidenco perchè c'è lo squalo, ho paura e quindi "No, quest'anno al mare non andrò con te sulla spiaggia..."

martedì 11 dicembre 2007

INVERNO TORINESE


984, questo è il numero dei morti sul lavoro fino a domenica scorsa.

Quel che è avvenuto a Torino, fabbrica Thyssen-Krupp, 4 operai morti, morti in maniera orrenda dopo un'agonia indicibile.

E ieri il giorno del dolore, i funerali, lutto cittadino a Torino, la Torino rilucente del Natale, la Torino messa a nuovo dopo i giochi olimpici invernali del 2006, la Torino ipnotizzata dal curling, la Torino ferita dalla calciopoli bianconera.

Dietro il feretro dei 4 la Torino politica, i gonfaloni, i sindacalisti, parole, parole, le solite parole vuote, inutili, insincere verso chi è straziato da un lutto indicibile.

Ma qualcosa nel quadretto irenico è andato storto.
Nino Santino, il papà di Bruno (uno degli operai morti) ha detto basta. "Assassini, bastardi, la pagherete cara!" ha urlato seguito dai fischi compatti della folla.
In un paese dove l'educazione cattolica fa sì che si debba sempre perdonare, sempre porgere l'altra guancia, chiedendo scusa di aver subito un torto, qualcuno ha deciso di non starci.

Maurizio Crosetti, su "La Repubblica" di oggi, ha usato parole forti "Sembra quasi un funerale palestinese, dove si alzano le foto dei morti a futura memoria".
Un operaio, padre di operaio, senza più figlio, distrutto come solo sa esserlo un padre che sopravvive al figlio, ha avuto la forza di sbatterci in faccia una verità, quella che sindacalisti, politici e imprenditori hanno sempre saputo: no a lacrime di coccodrillo dopo che si sono firmati accordi che permettono di lavorare in turni massacranti e senza misure di sicurezza.

Giovedì in Duomo solenni funerali con quattro salme benedette da un cardinale. Ma almeno giovedì bando a vuote ciance, spazio solo ai familiari, agli amici, ai compagni.

Gli altri, tutti gli altri, forse è meglio che vadano a fare dello shopping natalizio e che sottobraccio, assieme, continuino a calpestare la dignità del lavoro ma almeno lontano da chi lavora e soffre quotidianamente pedalando e soffrendo.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

domenica 9 dicembre 2007

UN ANNO SENZA ALBERTO



Un anno fa moriva Alberto D'Aguanno, inviato sportivo di Mediaset, all'età di 42 anni. Oggi è stato toccante il ricordo di Sandro Piccinini a Controcampo utilizzando quella che era la sua canzone preferita, No surprises dei Radiohead.

Lo voglio ricordare in quanto apprezzavo moltissimo la sua simpatia, la competenza e, dulcis in fundo, il suo essere un ultrà romanista.

Un romanista di Monza.