mercoledì 27 giugno 2007

PER FORTUNA CHE C'E' IL RICCARDO...



Grande exploit di Rai 3 ier sera, con la prima puntata di "Viva l'Italia diretta", il programma d'inchiesta condotto da Riccardo Iacona, uno degli storici inviati nati dalla covata di Michele Santoro.

Si trasmetteva in diretta dai cantieri navali della Fincantieri di Monfalcone, vicino Gorizia, per raccontare un pezzo di paese sconosciuto ai più, una delle poche industrie di stato in attivo con un giro di consegne che copre fino a tutto il 2011. Scopo del programma era discutere se fosse opportuno o meno quotare in borsa la società, eventualità auspicata dalla proprietà, dal governo e da Cisl e Uil. Nettamente contraria la Fiom-Cgil rappresentata dal segretario nazionale Rinaldini.

Abbiamo riscoperto una cosa che per molti era finita: esiste ancora una classe operaia in questo paese. Una classe operaia convinta di far parte ancora di una certa aristocrazia del mondo del lavoro, orgogliosa del proprio lavoro manuale, delle presse e delle pulegge, e di come un pezzo di ferro nudo può trasformarsi e divenire parte integrante di una gran nave da crociera. Tanto che quando è stata varata l'ultima nave uscita dai cantieri giuliani, nonostante lo stato di agitazione di gran parte degli operai, al momento del discorso dell'armatore, del committente ed al varo è stato solo il silenzio che ha dominato l'immensa fabbrica rotto da un commosso e lungo applauso finale. E poi la vita di tutti i giorni nel quartiere operaio vicino alla fabbrica, roba da anni '50, da romanzo di Pratolini, veramente un gran pezzo di televisione.

Se poi si pensa che qualche minuto dopo è cominciato su Italia 1, Lucignolo, programma d'inchiesta del tg Studio Aperto il cui pezzo forte era un'inchiesta sulla nuova moda in voga a Campo De 'Fiori, fare uno striptease e girare in mutande per la piazza, capirete perchè ho preferito a loro la compagnia di Morfeo.

Molto più stimolante, davvero.

lunedì 25 giugno 2007

E IL POVERO ABELE?


In questi giorni i programmi televisivi del nostro paese sono spesso interrotti da alcuni spot dell'associazione "Nessuno tocchi Caino", vicino al partito radicale, per chiedere una moratoria mondiale della pena di morte.
Il presidente dell'associazione, il deputato della Rosa nel pugno, Sergio D'Elia, è spesso ospite di vari salotti tv nei quali, col numero telefonico a tracolla in puro stile pannelliano, chiede a tutti noi di contribuire finanziariamente all'associazione per non lasciarli soli in una battaglia di cotanta civiltà.
Si da il caso però che l'onorevole D'Elia che tanto si scalda contro la crudeltà umana sia lo stesso che in gioventù ha militato nell'organizzazione terroristica di sinistra "Prima Linea" ed è stato condannato a 25 anni di prigione per banda armata e concorso morale nell'uccisione dell'agente di polizia Fausto Dionisi, freddato nel carcere delle Murate di Firenze (gennaio 1978) da un commando degli stessi terroristi durante un tentativo di evasione di alcuni compagni.
L'agente Dionisi, 22 anni, lasciò la moglie, sua coetanea, ed una figlia di due anni e mezzo mentre D'Elia condannato a 25 anni di prigione ne ha scontati solo 12 grazie agli innumerevoli benefici di legge ed alla legge che riconosce l'importanza del contributo dei dissociati e pentiti.
Sorvolando su certe leggi che preniano coloro che prima uccidono e dopo, fottendosi di paura, tradiscono gli amici e parlano, parlano, parlano comportandosi non propriamente da uomini veri e cantando di fronte alle guardie, nel 2000 il tribunale di Roma lo riabilitò provvedendo a eliminare le pene accessorie tra le quali l'inellegibilità.
Grazie alla sua attività in qualità di presidente dell'associazione "Nessuno tocchi Caino", da lui fondata, e nei confronti della popolazione carceraria, D'Elia si è guadagnato un posto di deputato del parlamento e, non contento, ha ottenuto pure il posto di segretario della presidenza della Camera.
Insomma, invece di affrontare il ritorno alla vita associativa in punta di piedi, l'onorevole D'Elia continua a non lesinare comparsate in tv o dichiarazioni alle agenzie come questa
"Sui casi di tortura praticata in Iraq da funzionari delle forze americane si possono dire solo due cose. Primo: è solo grazie alla libertà di stampa americana che noi abbiamo potuto sapere, con foto e resoconti particolareggiati, delle violenze subite da detenuti iracheni. Dei torturati in regimi dittatoriali, autoritari, illiberali, non è dato sapere nulla, semplicemente perchè lì non c’è libertà di stampa, quindi di inchiesta e prova indipendenti".
In tutti questi anni mai una parola, un pensiero pubblico, un rigo, per una madre ed un'orfana vittime delle paturnie rivoluzionarie di un manipolo di imbelli disperati.
Ma rivoluzione contro chi? Ma chi ve l'ha chiesto?
E quanto sono belli tutti assieme, rossi e neri, chiedere di mettere un punto agli anni di piombo, magari assieme a Cossiga (non più Kossiga col k), o di difendere i fascisti Fioravanti e Mambro dall'accusa di aver piazzato la bomba alla stazione di Bologna? D'altra parte, questa la tesi, loro hanno confessato tutto ma la strage no, non rientrava nel loro codice di superuomini nietschiani.
Balle, solo balle mentre alla moglie a alla figlia dell'agente ammazzato dagli amici di D'Elia non è rimasto altro che vedere un lenzuolo bianco sul corpo di quello che pure una volta è stato un marito, un padre, solo un uomo, ucciso dall'indifferenza di uno Stato che, trent'anni dopo, si ripresenta con le fatttezze dell'onorevole Sergio D'Elia, indignato e accorato per la pena di morte comminata a Cuba, in Cina o in Iran.
"Nessuno tocchi Caino" ma chi ha avuto la sfortuna di nascere Abele, di non frequentare certi salotti radical chic dove ci si commuove ricordando "La meglio gioventù" oppure sezioni di An nei quali vecchi e giovani fascistoni rammentano con orgoglio le scorribande, le rapine, le uccisioni e l'elezione a senatore di Marcello De Angelis, a lungo latitante e poi condannato definitivamente per associazione sovversiva dopo aver militato in "Terza Posizione",associazione di estrema destra assieme a Roberto Fiore,condannato per analoghi reati e poi latitante?
I parenti delle vittime che devono fare, scomparire, marcire per soccombere alla nuova storia scritta dai vincitori, un grande e bello embrassons-nous, una notte nella quale tutte le vacche sono nere?
Io sto ancora dalla parte di Abele e Caino, semmai, viene dopo ma molto dopo...

domenica 24 giugno 2007

TODA JOIA TODA BELEZA


E' uscito da pochissimi giorni il nuovo lavoro di Roy Paci, Suonoglobal, una vera e propria immersione a tutto tondo nella musica, nelle sonorità più vivaci e fantasgoriche.
Il trombettista di Augusta, che già ricordiamo collaboratore dei Mau Mau e di Manu Chao, ha sfornato un cd scoppiettante e aperto, come suo solito, a tantissimi incontri.
Su 15 pezzi ben 6 vedono partecipazioni straordinarie: Cor Veleno, Pau dei Negrita, Caparezza & Sud Sound System, Raiz (ex Almamegretta), Erriquez (Bandabardò) e Manu Chao. E' un viaggio andata e ritorno tra Italia, Spagna, Sudamerica ed Africa all'insegna della felicità, della contentezza e del puro gusto di far musica.
E'davvero un piacere ascoltare Roy, sempre col sorriso sulle labbra, raggiungere vette inaspettate con la sua tromba, davvero uno degli strumenti più affascinanti capace di regalare splendide sensazioni. Ed il ragazzo della Trinacria va elogiato per la scelta di riuscire a spuntare un prezzo davvero economico, €. 12, 90 (86 centesimi a traccia), per il suo cd che si può trovare anche nelle edicole.
Spero quindi che il disco ed il tour abbiano un gran successo, nel mio piccolo l'ho già acquistato e gustato, e non posso far altro che consigliarvelo magari assieme alla lettura di un vecchio libro di Paco Ignacio Taibo II, La Bicicletta di Leonardo, un trip no stop Barcellona -Italia-Usa e Messico, un vero e proprio romanzo libertario, un inno all'anarchismo più totale e Dio solo sa quanto bisogno c'è di libertà in questi tempi.
Baciamo le mani, Rrrrrrrroy.....

mercoledì 20 giugno 2007

QUELLA SPORCA ULTIMA META



Da "La Stampa" del 20 giugno, un articolo del corrispondente da Parigi, Domenico Quirico:

"La sera del sei maggio, giorno del secondo turno delle presidenziali, nella sala ultrachic del «Fouquet's», crocevia dei nababbi ghiottoni, la festa era ormai avviatissima.

A fianco del presidente nuovo di zecca, Cécilià, la moglie, non c'era. Assenza assai notata, e rimasta misteriosa negli annali della République.

C'era, invece, un cranio lucidissimo che sormontava una faccia olfattiva, occhialini da professore e un fisico di chi ha sudato a lungo per schivare, senza danni, gli acchiappamenti con monumentali mediani di mischia.

Sì, proprio lui, Bernard Laporte, il selezionatore dei Quindici, la nazionale di rugby.

Il calcio in Francia è popolare, seguito, fa discutere, appassiona: ma il rugby è un'altra cosa, è qualcosa che si ama. Neppure nella terra degli All blacks o in Inghilterra dove è nato, poteva accadere che il selezionatore della nazionale, in carica, diventasse, ieri, segretario di Stato allo sport (da noi si direbbe sottosegretario), fosse autorevolmente governizzato.

Tradotto in italiano, è come se Lippi fosse stato nominato ministro due mesi prima del mondiale in Germania.Con una postilla ancor più originale: è stato nominato ma entrerà in carica solo a ottobre, primo caso nella storia della Francia.

Non mancano le buone ragioni. E' impegnatissimo: a immuscolire la squadra che deve (verbo seguito rigorosamente da un risoluto punto esclamativo) vincere il campionato del mondo che si giocherà in casa. Già ci si interroga, tra politica e sport: se il Segretario di Stato dovesse capitolare nella fase eliminatoria cosa succederà: una crisi di governo? Si dovrà procedere a un complicato rimpasto?Eppure Sarkozy non ha scelto a caso.

Perché la passione tra questo quarantunenne e la Francia è fremente, palpita come i grandi amori. Il paese dubita di sé, è in crisi di identità, si divide in tribù che si guardano in cagnesco? C'è Laporte con i suoi valori semplici che lo rassicura. E' come la definizione che dà del rugby: «vuole dire disciplina, solidarietà, rispetto dell'arbitro e degli sconfitti salutati dai vincitori».

Canonico, conventuale e rassicurante. A fare la fronda, inutilmente, sono rimasti solo detrattori nevrastenici, gli esteti del gioco, che non trovano da otti anni il suo rugby per nulla «champagne».

Anzi prolisso, mediocre, cabotante: quando gli altri Grandi sono in declino allora si vince, quando sono forti allora sono guai. Dicono che non ha «teorie», l'unica sua sublimazione tattica si chiamava «sistema dei blocchi», ovvero rapidità di esecuzione e dispersione della difesa avversaria. Bello, peccato che l'avesse copiata dagli australiani che la usavano da un anno.

Con i giocatori è una iena, sfinisce questi giganti a furia di pavlovismi. Ha vinto, certo, quattro tornei delle Sei Nazioni. Ma in semifinale dei mondiali del 2004 è stato umiliato dagli inglesi. I quindici hanno appena giocato un match di prova contro i neozelandesi; sconfitta con 51 punti di scarto, le mete fioccavano, una umiliazione.

Pensate che l'abbiano atteso all'aeroporto per chiedere spiegazioni? Niente affatto: signori, Laporte non si tocca, è la France. Anche come giocatore a Gaillac e a Bordeaux è stato un «medio», che è la peggiore condanna in uno sport dove prevale l'elegia e si parla dei giocatori come degli eroi di Omero. Niente da fare. Gli perdonano tutto. Essere suoi detrattori vuol dire vivere pericolosamente: perché annota nomi e cognomi, li aspetta in inboscata alle conferenze stampa.

I francesi adorano proprio le sue arrabbiature, i suoi furori biblici, le parolacce con cui urla strapazza predica. Nel 2002, dopo un Francia-Italia allo Stade de France, vinto ma non indimenticabile, si presentò in conferenza stampa; per smerigliare i giocatori una sola metafora: «Oggi mi hanno rotto i c...». Tiene d'occhio anche il pubblico, non certo per titillarlo, perché i fischi non gli piacciono. Nel febbraio 2006, avversario l'Irlanda, osarono fischiare il divino Michalak, il Pavarotti delle aperture. Microfoni aperti, obiettivi puntati, parla Laporte: «Tutti questi borghesi di merda, li scaraventerei sul terreno di gioco». «Ma le mie arrabbiature sono un grido di amore» sogghigna lui. Evidentemente gli credono.

Si difendono dai suoi assalti sgarbati come accade nelle dittature, con i soprannomi: agrodolci tipo «il Kaiser» e «il Cornac», ma anche cattivelli come «Ber l'emmerdeur» e «Eagle For» da pronunciare alla francese che vuol dire «bocca larga».

Laporte durante l'anno fa il selezionatore due giorni la settimana, nel weekend, quando va in giro a stilare pagelle dei suoi prediletti. Il lunedì lucida un altro motto: «Ho una passione e un mestiere, il rugby, ma non dimentico gli affari». Non è un problema di soldi, anche se i 7500 euro al mese che riceve come stipendio sono ben lontani dalle prebende del calcio.

E' una sorta di permanente bulemia, l'ossessione di vivere a duecento all’ora, una inappetente bisogno di successo. E' per questo che Sarkozy lo adora: «Gli affari sono la mia libertà, essere indipendente vuol dire restare se stesso». Così è diventato il cocco degli industriali: Laporte è un marchio, una faccia, una irradiazione da coprire d'oro. Il suo agente, Serge Benaim, è travolto dalle sponsorizzazioni, la penna con cui firma i contratti è in perenne ricerca di inchiostro: «Sono costretto a dire no, non ce la faccio più a soddisfare tutte le richieste, lo vorrebbero ovunque».

Il cranio lucido spunta dietro un rasoio a tre lame, ai telefonini, al cibo per cani, allo champagne, sovrintende il miracoloso imballaggio di un prosciutto che basta «placcare» per richiudere, spunta in tv, anima seminari, sforna conferenze all'università. Possiede ristoranti camping palestre due casinò vigneti (un vino del Gaillac porta il suo nome).

Tanto, troppo forse. Il fisco e i servizi di informazione si sono interessati alle sue attività.

Invano.

Nulla incrina il mito.

Laporte è la Francia".

martedì 19 giugno 2007

THESE BOOTS WERE MADE FOR WALKING




E anche la Scarpa d'oro è arrivata, ha preso casa nell'indirizzo, nella città a lei più consona.
Niente di meglio per festeggiare il Capitano che ascoltare la gran voce di Nancy Sinatra cantare These Boots were made for walking
e leggere l'omaggio di Tonino Cagnucci dalla prima pagina de Il Romanista del 18 giugno:
Da Vanigli a Van Nistelrooy
"Dal 17 giugno del 2001 a ieri, dal Trattato di Roma con cui in Campidoglio il 25 marzo 1957 nasceva la CEE, al Santiago Bernabeu, passando per una tivvù accesa al Torrino, finalmente l'Europa è unita.
Settecentonovantanovemilioni di abitanti sparsi su un territorio di poco più di dieci milioni di chilometri quadrati hanno un Re.
E' una favola iniziata con un fallo di Vanigli e finita con un altro a van Nistelrooy di Basinas.
Prima della mezzanotte: Francesco Totti si è messo una Scarpa d'Oro.
Cinquantadue federazioni calcistiche affiliate all'Europa per cinquantuno campionati (il Lichtenstein non ha torneo ma solo una coppa), circa ottocento squadre di calcio, migliaia di calciatori hanno eletto il loro Bomber: una volta, quando c'era la Lira, c'era Roberto Pruzzo dalle parti della capitale delle capitali, con l'Euro quello è il nuovo titolo di Francesco Totti.
Esperanto del pallone, speranza dell'umanità.
Dal 19 febbraio del 2006 con una caviglia spaccata in due e i sogni finiti a Villa Stuart a ieri sera, è passato poco più di un anno: Totti è diventato campione del Mondo, vicecampione d'Italia, capocannoniere della serie A e d'Europa, ha alzato a Milano la Coppa Italia, ha battuto il Lione e il Manchester United.
Lui non Ronaldinho, né Shevchenko, o Drogba, Eto'o, Crespo, Ibrahimovic, Baggio, Boninsegna, Riva, Rivera, Maldini, Baresi, Platini (questi manco un Mondiale hanno vinto...) e mille altri.
No: lui sì.
Totti quello che... "sì è pure fortissimo però non ha mai vinto niente a livello internazionale", quello "sì a Roma è Dio però in Europa chi lo conosce?", quello che con le stampelle è andato in Curva Sud, coi capelli corti ha guardato negli occhi un portiere australiano alto e brutto e in primissimo piano il mondo e gli ha fatto go (go perché è Tottigo) oltretutto anche dopo l'ultimo minuto.
«Dicevano che ero finito...», ha detto e poteva pure non dirlo. Basta riguardare quella "cosa" terra-aria "a Sampdoria", la mezzarovesciata rovescia Milan a Milano, la punizione stile Comiso a Palermo, eccetera ed eccetera.
Tutto il resto è gioia.
E' il primo romanista che vince la Scarpa d'Oro, è il secondo italiano a riuscire a fare quello che gente come Eusebio, Van Basten, Rush, Gerd Muller, Henry, Ronaldo, Hugol Sanchez, Stoickhov, hanno fatto.
Che gli sia capitato il 17 giugno è per forza un destino. Anche di domenica come quella domenica di un milione di bandiere.
E se pure Capello ha goduto, chissenefrega. Il Barcellona ha fatto di tutto per cercare di comprarsi legalmente il Maiorca, le aveva promesso due milioni di euro e, dicono, anche Chivu. Se lo terranno se andrà là.
E se pure Capello ha goduto chissenefrega, serve soltanto a ricordare a tutti che non lo faceva dal 17 giugno 2001, con la Roma: come ieri, 3-1.
Tutto il resto è stato Calciopoli.
Niente.
Macerie.
Placche.
In piedi c'è rimasto Francesco Totti. Non s'è mai sporcato.
Pensa adesso con una Scarpa d'Oro.
Altro che Cenerentola".
P.s.: Don Fabio domenica sera mi ha fatto anche perdere una scommessa: a settembre mi ero giocato una pizza con Nanni convinto che il Barça rivincesse il campionato ma Don Fabio mi ha buggerato ancora una volta.
Vuol dire che brinderemo alla salute nostra e di Don Fabio che ha rivinto un campionato sempre di 17 giugno...

lunedì 18 giugno 2007

VAMOS A GANAR, DON FABIO...

"E vince sempre lui, non c'è niente da fare, si chiama Fabio Capello", così urlava alle 22, 45 di ieri sera l'inviato e telecronista Sky Riccardo Trevisani, nostro fratello giallorosso, che assieme ad Altafini ha raccontato l'incredibile epilogo della Liga.

Proprio lui, direbbe Piccinini!

E vederlo festeggiare in mezzo al campo faceva sorridere. Il mago di Pieris era palleggiato dai suoi eroi, scucchia in fuori e culo basso, ma sempre, una volta di più vincente.

Mancavano venti minuti ed il Real Madrid perdeva in casa col Mallorca mentre il Barça stava passeggiando a Tarragona. Non c'erano più speranze, Capello si gira in panchina ed è costretto a mettere in campo il mai troppo amato Reyes, ex Arsenal, autore di una stagione negativa. Ma il calcio è così, 60 secondi ed il giovanotto va in goal, ma non basta. Ecco adesso Diarra, il peggiore in campo, rete!, 2-1 fino alla doppietta, all'apoteosi di Reyes e del popolo madridista.

E alla fine è pandemonio Real e, come sempre, a vincere è uno solo, Don Fabio.


Fortuna, sì.
Anche ieri ha capito in ritardo che peso morto fosse il suo cocco Emerson , l'ha tolto e ha vinto (chiedere alla Roma 2001 ed al Brasile pentacampeao del 2002).

Però lui è sempre lì. Un mastino, non molla l'osso e comunque vada ha sempre ragione.

Lui è quello che di fronte all'invasione di campo anticipata di Roma-Parma gridava "Dilettanti!", che di fronte al pareggio di Siena nell'ottobre 2003 dava la colpa all'erba alta, al vento e al campo troppo largo.

Lui è quello dell'imitazione di Galopeira da Mario, in radio "Abbiamo giocattto una buonna partitttta", "I quindici fischionni ancora non sono arrivatti".

Lui è quello che è fuggito come un vile, di notte, con la Mazda della Roma non dimenticando di avvertire quell'altro lord di Tosatti che si è rivenduto lo scoop in solitario sul Corriere della Sera.

Lui è quello che solo pochi giorni prima raccontava in un'intervista a Stefano Petrucci per il "Corriere della Sera" quanto amasse alla follia la Roma, Roma, la città della sua vita, San Lorenzo, il ristorante Pommidoro, peccato per la monnezza, davvero troppa per la Capitale d'Italia.

Lui è quello che ha rovinato il più grande talento degli ultimi dieci anni, Cassano, prima vezzeggiandolo e poi buttandolo in un angolo come un panno sporco.

Lui è quello che ieri festeggiava con Fabio Cannvaro (ieri c'era la più alta concentrazione di galantuomini per chilometro quadrato) avvolto in una bandiera con fascio littorio.

Però alla fine ha vinto, e zitti tutti.

E'difficile poter replicare a quello che resta il maggiore selezionatore di "istant team", glorificato ieri sera da un nostro vecchio amico, presente ieri sugli spalti del Bernabeu, Roberto Beccantini de "La Stampa". Ecco alcune chicche:

esce per infortunio Van Nistelrooy consegnando la Scarpa d'Oro al Capitano?

"Quando i muscoli di Ruud Van Nistelrooy hanno ceduto, era il 23’. Immagino il sollievo di Totti (ha salvato la Scarpa d’oro, 26 reti a 25)".

Si vuole difendere Don Fabio dalle critiche?

"Fabio Capello ha diritto alle scuse di una classe giornalistica senza memoria, una consorteria ondivaga e un po’ cialtrona che si è attaccata a tutto, anche all’uomo, pur di demolire l’allenatore". Non è un'autocritica come sembra nè un brano della sua prossima autobiografia in uscita.

Queste invece sono sante parole:

"Circondato e protetto dalla sua tribù - Italo Galbiati e i due Franco: Baldini e Tancredi - Fabio ha tirato su il ponte levatoio.
Volete che me ne vada? Licenziatemi. Non mi dimetterò mai. Questione di soldi.
Fabio scappa dalle piazze, non dagli stipendi.
Mollò Roma dopo aver giurato che mai e poi mai sarebbe andato alla Juve: della quale parlava, più o meno, come ne avrebbe parlato il procuratore Palazzi nella requisitoria di Calciopoli. Dribblò e mortificò il popolo juventino non prima di aver garantito che «ci saremmo divertiti» quando lo scandalo sarebbe arrivato a sentenza. Professionisti tutti d’un prezzo, si chiamano così".

Quando ci si mette anche Beccantini ha, alla fine, sprazzi di lucidità.

Concludo come avevo fatto in un'altra occasione.
E' tutto vero, tutto giusto ma alla fine Don Fabio ha vinto anche ieri e come diceva Totò, "E' la somma che fa il totale".

sabato 16 giugno 2007

SE QUESTO E' UN UOMO



Che Primo Levi mi perdoni per la scelta di utilizzare il titolo del suo romanzo dedicato alla personale esperienza di deportato ad Auschwitz in un post dedicato alla vicenda dell'ex capitano delle SS, uno dei carnefici, uno degli esecutori del massacro delle Fosse Ardeatine.

Grazie alla decisione del tribunale militare di sorveglianza (quando aboliremo quella mostruosità che rispondono al nome di tribunali militari in tempo di pace) il 93enne Priebke può lasciare i domiciliari per recarsi a lavorare presso lo studio del suo legale.

Data l'infamità di un simile provvedimento, le parole servono davvero a poco.

Come studioso di storia contemporanea mi hanno sempre insegnato che non si deve mai giudicare ma comprendere.

Che non esiste una ferina e gratuita bestialità ma ogni cosa ha una sua ratio, anche l'irrazionale. Che le grandi tragedie del '900 sono potute accadere non perchè milioni di persone fossero sotto effetto ipnotico da parte di folli ma perchè atti così gravi trovavano una motivazione in stati d'animo, in sensazioni realmente percepite.

Preferisco lasciare la parola allora all'americanista Alessandro Portelli, uno dei massimi studiosi di quella tragica vicenda che sono e rimangono le Fosse Ardeatine. Chi volesse saperne di più puà scaricare la sua lezione tenuta all'Auditorium del Flaminio il 18 marzo in occasione della manifestazione "I giorni di Roma" (In mp3 ed in versione ITunes):

http://www.laterza.it/novita/lezionidistoria.asp

Dalla prima pagina de "Il Manifesto" del 15 giugno così scrive il prof. Portelli:

"Allora, Eric Priebke è praticamente libero di andare e venire «per motivi di lavoro» per le strade della città che ha ferito col suo ruolo nella strage delle Fosse Ardeatine e ha continuato a insultare con il suo atteggiamento impenitente durante e dopo il suo processo.

Già nei giorni scorsi mi arrivavano telefonate di persone addolorate e offese dalle tranquille passeggiate del boia delle Ardeatine nei viali di Villa Pamphili.

Adesso, l'insulto è completo.

Non mi va di entrare nel merito tecnico, giuridico, legalistico della decisione dei magistrati. Immagino che abbia tutte le carte in regola, che sia a posto con la burocrazia e col codice.

Ma ci sono cose che vanno oltre la lettera delle regole, sentimenti civili collettivi che vanno pure tenuti in conto in casi eccezionali come questo.Quello che mi sento di dire è che trovo sconcertante la dichiarazione del ministro della giustizia del governo di centro sinistra, onorevole Clemente Mastella: «Se fossi ebreo sarei offeso».

Che è un modo di dire che, siccome lui non è ebreo, allora la cosa lo lascia indifferente.

Sono fatti loro.

Questo è un atteggiamento gravissimo, non solo per il fatto elementare che alle Fosse Ardeatine sono stati ammazzati duecentosessanta esseri umani che non erano ebrei (e questo Mastella dovrebbe saperlo), e non possiamo fare carico alla sola comunità ebraica di tenere viva anche la loro memoria, ma anche e soprattutto perché le Fosse Ardeatine, e più ancora la Shoah, sono crimini contro l'umanità intera, non sono questioni private e bilaterali fa le vittime e i carnefici ma fra i carnefici e tutti noi.

Ridurre tutto a una questione che riguarda gli ebrei non è un modo di esprimere loro solidarietà, ma un modo di lasciarli soli".

mercoledì 13 giugno 2007

ROMA-BRUGGE-TIRANA (A.R.)


Per quei disinformati secondo i quali il "made in Italy" è in crisi oppure coloro che hanno una cattiva opinione del nostro sistema politico.
La risposta a questi cattivi pensieri sta tutta in quanto scrive l'inviato de "La Stampa" Marco Zatterin in data 11 giugno a proposito delle elezioni politiche svoltesi in Belgio:
"La tornata elettorale di ieri ha ampliato la distanza politica (e non solo) fra le due anime del Belgio federale, le ricche Fiandre e la claudicante Vallonia.
Nel nord del Paese si è anche confermata la forte consistenza dei due schieramenti di estrema destra, separatisti e xenofobi: il Vlaams Belang, che nella regione è il secondo partito con circa il 20 per cento dei suffragi; la lista Dedecker, dal nome del senatore uscente Jean-Marie Dedecker, ex allenatore della squadra nazionale belga di judo, eletto con i liberali e ora a capo di un proprio partito per il quale si è ispirato al populista olandese Pin Fortuyn, assassinato nel 2004 e sepolto in Italia.
Sebbene raccolgano un voto fiammingo su tre, i due movimenti sono tenuti fuori dal potere e dalle istituzioni con un cordone sanitario. Per questo, proprio ieri hanno annunciato l'intenzione di coalizzarsi, così da formare una minoranza coesa e compatta. La speranza è quella di superare l'ostracismo e arrivare a rappresentare comunque una opposizione solida, e magari di blocco, per la maggioranza di governo.
Hanno deciso di chiamarlo FORZA FLANDRIA. Gli alfieri del "made in Italy" ringraziano".
Per chi non l'ha visto credo sia davvero interessante vedere il filmato della visita del presidente Bush in Albania e la storia del suo orologio da polso
Questo è invece il commento di Massimo Gramellini de "La Stampa":
"I No Global sono proprio fermi all'età della pietra. I soliti slogan antiamericani, le solite baruffe con la polizia. Cose viste e straviste, che a Bush non hanno provocato il minimo grattacapo.
Gli albanesi, invece.
Autentici geni imparentati con Totò, hanno accolto il Presidente neanche fosse il Messia, in un turbinio di baci e abbracci. Ma appena Bush è riuscito a divincolarsi, dal suo polso era misteriosamente scomparso l'orologio. Mica tanto misteriosamente: nelle immagini si vede un polpastrello prensile staccarsi dalla boscaglia di mani adoranti per sfilare il cinturino presidenziale con tocco lieve da pianista.
Bush non si è accorto di nulla, ma d'altronde non guarda l'ora da quando diede ordine di bombardare l'Iraq: lì per lui il tempo si è fermato. Più incredibile che non se ne siano accorti gli uomini dell'agile scorta, circa 850 emuli dell'ispettore Clouseau, uno più sveglio dell'altro, ma tutti assai meno del più torpido degli albanesi.
Si ignorano le conseguenze diplomatiche dell'attentato, il più grave mai subito all'estero da un Presidente americano. La proposta della Cia - requisire per rappresaglia l'orologio di ghisa situato in cima al campanile del duomo di Tirana - è stata respinta dopo lunghe riflessioni da Bush con la motivazione che non avrebbe saputo come legarselo al polso.
Gli agenti Fbi stanno battendo tutte le piste, anche che l'orologio scomparso sia stato regalato per sbaglio a Bush da Berlusconi.
Il quale potrebbe aver incaricato qualche suo collaboratore albanese di recuperarlo, allo scopo di farne dono a un amico velista nella bufera.
Un certo Massimo, che da tempo non vede l'ora".

martedì 12 giugno 2007

HVALA DEJAN!



Dejan Bodiroga ha deciso di ritirarsi.

Sono poche le parole da scrivere per un campione della sua classe, della sua educazione e della sua bravura. Dejan ha detto basta, farà il dirigente, forse anche a Roma, e spiace non avergli potuto regalare stagioni più entusiasmanti. Quello che ci lascia è però una mentalità vincente, una consapevolezza che la classe può ancora rappresentare il primo elemento dello sport oltre alla pura fisicità.

Andatevi a vedere la commovente standing ovation al Palaeur di Roma dell'altra sera, finale di Lottomatica-Mps Siena, nel commento per Sky di Paola Ellisse e Riccardo Pittis:

http://www.youtube.com/watch?v=xXjjKY2m1HA

E questo è il commento di Luca Pelosi da "Il Romanista" dell'8 giugno scorso:

"Non c’è niente di più difficile, oggi, che parlare di Dejan Bodiroga.

Da quando è cominciata la sua carriera, non fa altro che stupire, e innamorare, chiunque ami la pallacanestro. Che non è, come pensano in troppi, uno sport bello per salti, corse e schiacciate. Ma può essere anche arte e poesia.

Bodiroga, più di chiunque altro, in qualsiasi continente, l’ha dimostrato. La cosa più difficile la rende semplice, la cosa più semplice la rende perfetta. Ma non è certo questa la sede adatta per spiegare che cosa sia stato Bodiroga nella storia del basket.

Forse si può abbozzare un tentativo per capire che cosa sia stato Bodiroga nella storia del basket romano.

E’ arrivato fidandosi di Pesic, che a sua volta confidava in un progetto che non c’era. Ha vissuto due stagioni allucinanti, con squadre completate o a dicembre o a febbraio, preparazioni precampionato svolte in 5, traguardi rincorsi e sfiorati senza mai avere la sensazione (tranne che in un paio di occasioni) di poterli effettivamente raggiungere.

Eppure, non è mai cambiato.

Ha affrontato ogni allenamento come se fosse una partita e ogni partita come se fosse una finale olimpica o mondiale.

Ha messo tutto se stesso in ogni singolo istante accettando di provare a fare la torta, lui che, a 34 anni, avrebbe dovuto essere la ciliegina. Ha sempre detto “Ho perso”, oppure “Abbiamo vinto”. Ha chiuso dicendo: “Ho gioito in questi due anni dando tutto quello che avevo dentro”.

Lui è il Re, Dio, il Nume, l’Onnipotente.

E’ venuto qui a sporcarsi le mani e la carriera. Lo ha fatto con la gioia che può capire, ed ammirare, solo chi sente il basket scorrergli nelle vene. E lo ha fatto a prescindere dalla mediocrità che quasi sempre lo ha circondato.

La sua non è stata solo una lezione di sport, ma anche, e soprattutto, una lezione di vita. Il Bodiroga che ha perso, cioè quello romano, probabilmente per questo è anche più grande del Bodiroga che ha vinto. Cioè quello che tutto il resto del mondo conosce.

Non ce lo meritavamo, non ci meritava. E non meritava di concludere la sua carriera con una sconfitta indecorosa come quella rimediata in gara 4 contro Siena. Più in generale, non meritava di passare due anni in una realtà che non lo ha mai messo nelle condizioni di poter vincere.

Qualunque sia stato il motivo per cui l’ha fatto, c’è solo da ringraziarlo. Dopo due anni, a Roma abbiamo tutti qualche cosa in più. Ma da domani avremmo qualche cosa di molto grande in meno.

Grazie Campione, sarà impossibile dimenticarti".

E per un campione che va ce n'è un altro che ha trovato pane per i suoi denti, Casey Stoner ha battuto Valentino Rossi sul circuito del Montmelò di Barcellona portandolo finalmente sulla terra. Un duello entusiasmante con il giovane, il pivello che rischia di mettere nel sacco il più titolato ma il Dottore non può permetterselo, sarebbe il secondo anno consecutivo ed il suo smisurato ego, forse, non glielo perdonerebbe mai.

Così scrive l'inviato de "La Repubblica" Benedetto Ferrara sul giornale di ieri:

"Ecco il 46. Ecco il fenomeno che fa i conti con qualcuno che somiglia troppo a un suo possibile clone. Lui ci ha provato. Niente da fare.

"E' stata una gara spettacolare. E' stato bello".

Beh. Per lui fino a un certo punto. Bello come uscire con una ragazza che ti scuote il cuore e poi sentirsi dire: ciao, allora magari ti chiamo io.

Ci sono magari che somigliano troppo a un forse che poi diventa un mai.

Triste finale".

lunedì 11 giugno 2007

WELCOME BACK ZENA



Era il 1995, giugno, in una cupa e livida Firenze, quando Creek (chi era costui?) sbagliò il rigore nello spareggio per la salvezza contro il Padova condannando il Genoa alla serie B dopo che i tempi regolamentari erano terminati in parità, 1-1 (Goal di Vlaovic e Skhuravy).

Ieri pomeriggio è finita come doveva finire, il Grifone in serie A. Non avendo parole per la contentezza e la felicità di un qualcosa che per me personalmente è molto di più di una seconda squadra sarò sintetico: grazie!!

domenica 10 giugno 2007

VENCEREMOS...?


Gli argomenti non mancano in questa calda domenica di giugno.
Meglio sarebbe parlare dell'appassionante finale thrilling della Liga spagnola che ieri ha vissuto forse il suo acme, una vera e propria "noche cardiaca" vissuta attraverso "los transistores" delle radio che attraverso il loro racconto concitato hanno scandito gioia e dolore degli "aficionados" iberici.
All'ultimo minuto di gioco, Barcellona in vantaggio nel derby catalano con l'Espanyol ed il Real Madrid che perdeva in casa del Zaragoza.
Pareggia Van Nistelrooy( ad un solo goal dalla Scarpa d'oro del Capitano)ma Barça ancora + 1 in classifica, neanche trenta secondi ed arriva il pareggio dell'Espanyol con Tamudo che fa ammutolire il Camp Nou, Barça e Real appaiati ma Real in vantaggio per il computo degli scontri diretti.
Tutto rimandato all'ultima giornata ma l'inerzia sembra tutta per le merengues madridisti senza dimenticare il Siviglia ad un solo punto.
Ma ieri è stata la giornata della visita di George W. Bush a Roma e soprattutto della definitiva spaccatura che si è creata in seno alla sinistra radicale, due manifestazioni in due piazze diverse.
Ds e Margherita persi nella chimera del Partito Democratico.
Una, in una piazza del Popolo semideserta, organizzata da sinistra Ds, Prc, Comunisti italiani, Verdi, Arci ed altre organizzazioni dell'artcipelago pacifista.
L'altra, molto più piena, sulle 100.000 che ha attraversato la Capitale da Piazza Esedra a Piazza Navona, gioiosa, felice, con vecchi, bambini, giovani, donne, senza i black blok ma attraversata da una sorta di incosciente impotenza.
Senza tacere dei soliti scontri organizzati da una cinquantina di ragazzi dal volto coperto, le bandiere americane date alle fiamme, i cori "1o, 100, 1000 Nassirya" o i cori contro il "guerrafondaio" Prodi il tutto è sembrato il solito copione, anzi pure abbastanza sfocato.
Oramai non bastano più due sinistre, ce n'è anche una terza, e intanto il Paese non ti segue, è indifferente, Roma ieri era vuota come nel miglior ferragosto degli anni'60.
La sinistra radicale di governo ha compreso di non poter più rappresentare lo scontento dell'altra sinistra, un disagio che non trova più rappresentanza nelle aule parlamentari. C'è rabbia, disincanto che trova sfogo nelle piazze ma non nel copione sperato dai partiti, siamo in una società liquida, è l'ora di Indymedia, di blog, di Internet, c'è un vero e proprio rifiuto della rappresentanza politica così come l'abbiamo conosciuta fino ad ora. c'è una voglia neanche troppo taciuta di azioni forte, violente contro un sistema vecchio, inattuale ed in ritardo rispetto ad un "paese reale" in fermento. Un Eurostar ad alta velocità contro un accelerato per Battipaglia.
Da qui il silenzio sul nuovo terrorismo delle Br, l'indifferenza rispetto ad atti come quello di ieri di insozzare la lapide di Aldo Moro scrivendoci "Bush=Moro" o quello di mettere sullo stesso piano l'occupazione israeliana della Palestina e gli attentati kamikaze di Hamas o di scrollare le spalle rispetto ad Al Queida.
L'errore è di politici come Diliberto o Paolo Cento con un piede nel governo ed uno nella piazza o di Bertinotti, incapace di spezzare il legame con i no-global da lui vezzeggiati, coccolati e sfruttati in funzione della faticosa riflessione che Rifondazione sta compiendo sulla storia del comunismo mondiale ed il suo rapporto con la violenza. Bene le coraggiose riflessioni di "Liberazione" sulla deriva illiberale di Cuba e sul vero e proprio "autunno del patriarca" di Fidel ma poi non si può mettere in lista il buon Nunzio D'Erme e fare in modo che non venga eletto nonostante la messe di voti ottenuta e anzi accorgersi, ahimè!, che non conosce il bon ton istituzionale, occupa case sfitte o cosparge di letame casa Berlusconi.
Questo doppio binario ha portato Bertinotti ad essere considerato un "traditore e guerrafondaio" e Rifondazione e gli altri partiti della sinistra alternativa ad essere isolati e a non saper cogliere l'umore di piazze una volta così amiche.
Si continua invece a contestare un presidente al tramonto come Bush figlio che come scrive oggi Valentino Parlato su EPolis, "è il fantasma di un impero che annaspa, che non ha più egemonia, che è costretto (dico costretto) a difendere il suo potere con le guerre che neppure riesce a vincere e, soprattutto, a concludere".
Qui da noi invece si continuano a bruciare bandiere ed a accusare con violenza, con odio ferino chi non la pensa come te salvo poi alle elezioni astenersi perchè "la sinistra non è più lei" e perchè "siamo una colonia degli States".
A quelli che manifestavano contro Bush tutta la mia stima anche se mentre qualche coraggioso spaccava vetrine o tirarva sassi contro i poliziotti il presidente già ronfava beato a villa Taverna, assolutamente disinteressato e neanche scalfito dalle grida di scherno.
E come scrive sempre Parlato, "bene le proteste di Rostock e Roma, ma siamo di fronte a un George Bush sul viale del tramonto. E le gentilezze di due ex comunisti come Giorgio Napolitano e Massimo D'Alema ne sono una conferma".

venerdì 8 giugno 2007

UN GELATO AL LIMON


Forse il buon Paolo Conte, se potesse, scriverebbe una nuova versione della splendida "Un gelato al limon" dopo aver letto quest'articolo di Filippo Ceccarelli da "La Repubblica" di oggi:


"SEMBRA uno scherzo, o una insidiosa provocazione dell'antipolitica. Ma è vero: al Senato, adesso, vogliono anche il gelato.
Così ieri, a nome di un nutrito gruppo di parlamentari, il senatore Rocco Buttiglione, filosofo dell'Udc, e la senatrice Albertina Soliani, prodiana emiliana, hanno scritto ai questori di Palazzo Madama una lettera che merita di essere riportata nella sua concisa integrità documentale.
E dunque: "Ci rivolgiamo a voi con una richiesta di miglioramento della qualità della vita in Senato. La buvette non è provvista di gelati. Noi pensiamo che sarebbe utile che lo fosse e siamo certi di interpretare in questo il desiderio di molti. E' possibile provvedere? Si tratterebbe di adeguare i servizi del Senato alle esigenze della normale vita quotidiana delle persone. In attesa di riscontro, porgiamo cordiali saluti".
E' bene a questo punto che si conoscano anche i nomi dei senatori-questori che prima o poi dovranno respingere o accogliere l'istanza, magari regolamentandola nelle sue molteplici varietà: ghiacciolo, coppetta, cassata, cono, cornetto, granita, sorbetto, affogato e biscottone.
Si tratta quindi del senatore Gianni Nieddu, Ulivo; del senatore Romano Comincioli, Forza Italia; e della senatrice Helga Thaler, autonomista sud-tirolese.
Che la coscienza del loro ruolo li ispiri, per una volta, nel senso che riterranno più consono al bene comune.
Amen.
Nel frattempo, varrà la pena di considerare come quella che in un celebre studio affidato alla buonanima di Giovanni Malagodi veniva cautamente definita "la condizione del parlamentare" sia oggi diventata, sic et simpliciter, "la qualità della vita dei senatori". Ma soprattutto colpisce, nella sollecitazione gelatiera e bipartisan, una parola che getta una piccola luce sulla faccenda: "il desiderio".
Ecco forse la bramosa chiave di volta per comprendere come, al di là di un facile e scontato moralismo, diversi rappresentanti della volontà popolare abbiano smarrito il senso stesso del loro operato, e ormai non si rendano più conto dell'effetto - per non dire la ricaduta simbolica - che suscitano certe loro pretese.
Molto semplicemente: desiderano, anzi desiderano troppo, non pongono tanti limiti alle loro voglie. Nel caso specifico alla loro gola.
E' un fatto che richiama l'essenza corporea e primordiale del potere; un'impellenza biologica che non viene nascosta perché connessa al rango, allo status, al privilegio di ostentare il proprio appetito.
Ai senatori piace il gelato: e lo vogliono. Slurp! Qui e ora. Slurp! slurp!
Magari non immaginano che uscire dal Palazzo, farsi due passi a piazza Navona potrebbe anche fargli bene; magari non riescono nemmeno a capire come rispetto a un innocente gelatino si possano tirare in ballo questioni così alte.
Pare di sentirli: eh, quante storie!
E' un'unica, drammatica storia, in realtà, quella dello snaturamento, della degenerazione, della deboscia delle assemblee elettive all'insegna di Bengodi.
Tanto più irrilevanti le Camere sul piano politico, quanto più ornamentali, confortevoli, opulente, agognate.
Il Senato, in particolare.
Perché prima del gelato i senatori hanno chiesto e ottenuto le settimane gastronomiche regionali, e poi quelle dedicate alle province. Il collezionista dispone di fantastici comunicati ufficiali emessi nei momenti più delicati sulle degustazioni dell'agro pontino, "la seconda giornata sarà abbinata alla carne di bufala bianca", oppure un dovizioso banchetto palermitano a conclusione del quale il presidente Musotto ha fatto presente uno slogan promozionale che a dire il vero lì dentro rischiava di suonare un po' così: "Mangio sicuro, mangio meglio".
A metà marzo il presidente Marini ha concesso la sala degli atti parlamentari al primo corso di sommelier per senatori. Montecitorio risponde con i prodotti agricoli di qualità certificata. Chi vuole il lardo, chi lo squacquerone, chi i fichi caramellati e chi i torcinelli.
Buttiglione e la Soliani, dopo tutto, sono in buona compagnia.
La deriva eno-gastronomica si fa anche dolciaria, ma non è dolce per niente il futuro delle istituzioni rappresentative".
Insomma, sembra che il divenire qualunquista debba essere l'unica soluzione.
I nostri padri (non il mio sicuramente...) sulle barricate sessantottine o settantasettine gridavano felici "una risata vi seppellirà!".
Ora non resta che sperare che tutto quel gelato gli resti sul gozzo o che gli si possa squagliare addosso, a testimoniare il basso livello che stanno raggiungendo, ogni giorno è sempre peggio. Mai avrei pensato di utilizzare questo lessico riguardo alla politica, così importante per il nostro presente come per il nostro avvenire.
Per non saper nè leggere e nè scrivere io continuerò a comprare il gelato da Giolitti o da S. Crispino, sarà meno buono ma almeno se mi si squaglierà in mano dovrò solo prendemela con me e con le mie mani bombardate.
Crema, bacio e panna, grazie...

giovedì 7 giugno 2007

TOMMASO CONTRO TUTTI



Certo, chi glielo avrebbe detto al prof. Tommaso Padoa Schioppa dopo una vita passata dentro le università di tutto il mondo o al vertice della Banca centrale europea, di ritovarsi alle otto della sera dentro l'aula del Senato a vedere davanti a sè un manipolo di buffoni che vogliono farsi passare per l'opposizione di centrodestra?

Succede che il ministro, nonostante gli schiamazzi, le urla e gli insulti (l'ex ministro Castelli non esita a definirlo "vile") dell'emiciclo destro dell'aula di Palazzo Madama, non esita a squalificare definitivamente il generale Speciale definendo il suo comportamento come "inqualificabile".

E dovevate vederlo Padoa Schioppa guardare con aria di compatimento le gigantografie di Visco con su scritto "Don Vincenzo il padrino"e domandarsi "che penseranno gli italiani di tutto questo?".

E forse il volto stupito ma fermo del ministro del tesoro può essere la dimostrazione che esistono ancora galantuomini in grado di ergersi al di sopra dell'immensa mediocrità che sta avvolgendo come un mortifero blob la classe politica italiana.

Ma visto che la classe politica è lo specchio dei suoi elettori e del bizzarro paese che rappresenta, vi saluto invitandovi a leggere quanto scrive l'inviato de "La Repubblica", Antonio Dipollina all'interno del suo blog:

Sulle pagine genovesi di Repubblica, Marco Preve racconta la seguente storia: nello scorso settembre a Genova nasce un bel bambino, i genitori si recano all’anagrafe e al momento di apporre il nome del neonato scrivono “Venerdì”.

L’addetto li guarda un po’ così, ma manda avanti la pratica. Al tempo stesso, però, segnala la cosa a chi di dovere, in quanto esiste, a quel che si apprende, una sorta di mini-reato che contempla guai nel caso si decidano per i figli nomi “ridicoli o vergognosi”.

La vicenda prosegue, un’altra addetta del Comune prende a cuore la cosa, mesi dopo i genitori vengono convocati e chiedono cosa ci sia di strano.

Glielo fanno presente - intanto il pupo è in zona e se viene chiamato “Venerdì” si volta e guarda attento - la mamma è oltremodo combattiva. Sostiene che Robinson non c’entra nulla, ma semplicemente quel nome a loro due, genitori, piace assai.

L’addetta insiste e la mamma spara la prima bordata: “Scusi, ma lei convoca i genitori anche se chiamano la figlia Domenica?”. L’addetta vacilla. Ma insiste sul “ridicolo o vergognoso”.

Al che la mamma, tira fuori il carico da undici: “Ma scusi, e allora Chanel, la figlia di Totti?”. L’addetta si accascia sconsolata.

La vicenda è ancora in piedi e si attendono sviluppi, ma tornare indietro sarà improbo.

martedì 5 giugno 2007

TOTTI ZITTI



Da un articolo dell'ex giornalista di Radiorai Mario Giobbe dalla prima pagina de "Il Romanista" del 5 giugno 2007:

"Sono un giornalista sportivo, un tempo conosciuto dal "colto e dall'inclito", oggi un appassionato di calcio e, grazie a Dio, tifoso della Roma.

E in quanto tale estimatore di uno dei più grandi calciatori in attività al mondo: Francesco Totti.

Premetto che non ho nessuna intenzione di difendere la sua persona perchè il ragazzo è capace di farlo da solo (vedi Matarrese e Melli tanto per fare due citazioni), desidero invece irridere quella pletora di cronisti sparsi in quasi tutta Italia ( e anche a Roma) che non sopportano il fatto che Totti sia romano e, in quanto tale, lo detestano e lo pongono al centro di tutte, o quasi, le vicende del calcio italiano giocato.

In particolare, questi cronisti, hanno eletto il capitano della Roma come il "capro espiatorio" di tutti i mali della Nazionale italiana poco meno di un anno fa Campione del Mondo e oggi capace di brutte figure addirittura anche alle Isole Far Oer. Totti ha la responsabilità del pareggio di Napoli con la Lituania. Della sconfitta di Parigi con la Francia, in pratica della insufficiente gestione tecnica di Roberto Donadoni.

Nessuno, tra i soloni del giornalismo sportivo di oggi, che ricordi come, l'ottimo ex giocatore del Milan e recente allenatore licenziato del Livorno, non sia all'altezza dell'incarico che una cattiva gestione federale del post Calciopoli (o Moggiopoli se preferite) ebbe ad affidargli grazie al commisario Rossi e al vice Albertini.

Nessuno che celebri il capocannoniere del campionato appena terminato, terzo numero 10 dopo Platini e Maradona ad aver vinto la prestigiosa classifica dei marcatori.

Nessuno a parte pochi e "coraggiosi" colleghi tra i quali i tanti de "il Romanista".E' nel Dna di Francesco la colpa di essere romano, di non essere emigrato nei lidi (si fa per dire) milanesi, torinesi o madrileni. L'avesse fatto noi non staremmo qui a prendere posizione nei confronti di tutti quelli che sono arrivati, fino alla noia, ad accusare il capitano della Roma.

E' ora di farla finita, cari colleghi, anche se a vostra giustificazione non ci sono argomenti. E invece ve ne possiamo citare tanti di fatti del calcio nostrano che abbisognano di approfondimenti.

Vedi, tanto per restare al recente, il caso Deshamps-Juventus. Dateci notizie su questa vicenda e, perchè no?, sulla sentenza della Cassazione sul doping che ha visto protagonista la più titolata delle squadre italiane.

Quanto a Totti, mi incuriosisce leggere oggi sui giornali, la sua proposta di "rivoluzione degli stadi" ( pubblicata ieri da questo giornale) che vuole salvare il calcio italiano sempre più sull'orlo del precipizio. E non dimenticate quanto questo ragazzo ha fatto da anni e sta facendo per i bambini che soffrono.

L'importante comunque per noi è che Francesco Totti non è e non sarà mai solo".

sabato 2 giugno 2007

RANDOM








Un post davvero anarchico, di tutto un pò.

Ieri sera è terminata la telenovela attorno al caso Visco-Guardia di Finanza nata attorno alle presunte rivelazioni pubblicati da "Il Giornale" su delle pressioni esercitate dal vice ministro diessino allo scopo di trasferire 4 ufficiali che avevano indagato sulla tentata scalata dell'Unipol alla Bnl.

I documenti smentiscono clamorosamente la ricostruzione dell'house organ di casa Berlusconi e la conseguente dichiarazione del comandante generale della Gdf, Speciale, che invece davanti ai giudici, sotto giuramento, aveva dichiarato l'esistenza di dette pressioni. L'unica soluzione non poteva essere che quella di sostituire il comando e, contemporaneamente, di far restituire a Visco le deleghe sulla Gdf in maniera da annullare la minaccia della mozione di sfiducia presentata dalla Cdl al traballante senato dove qualche genio, vedi esponenti dipietristi, era pronto a sacrificare "l'uomo delle tasse" pur di salvare l'onore delle forze armate.

A me personalmente Visco non è molto simpatico ma un uomo politico si combatte con le idee e non usando pezzi dello Stato, scontenti per la presenza del Centrosinistra al governo, o tramite articoli di giornalisti in stretti rapporti con la Guardia di Finanza.

La risposta giusta è stata quella di terminare il rapporto fiduciario con un militare del quale non si ha più certezza della lealtà verso quelle istituzioni che dovrebbe difendere, fregandosene dunque della canizza montata dal centrodestra e dai media compiacenti.

Media che tutti insieme aprono la bocca e fanno "Aaaaaah" di fronte alla notizia che il Cnr ha scoperto che nell'aria di Roma ci sono fortissime tracce di cocaina che puoi respirare tutti i giorni. Il picco, chiaramente, 0,1 nanogrammi per metro cubo, è stato registrato attorno all'università La Sapienza. Questo non vuol dire che tutti noi stiamo narici allargate a sniffare ma che il caso non è da sottovalutare.

Ma perchè stupirsi, perchè poi mettere i giovani al centro delle accuse? Ma chi è che giornalmente ci fa vedere in film o in telegiornali scene dove la coca scende a fiumi oppure il racconto integrale delle ultime prodezze di Kate Moss e dell'ottimo Pete Doherty? E quei politici che se la prendono con Veltroni, ieri conferenza stampa di Forza Italia sul declino morale della città (e il caso dell'ex sottosegretario Miccichè con la droga direttamente al ministero?), quando sarà possibile fare un controllo sulla droga a Montecitorio o vedere finalmente l'inchiesta delle Iene?

Forse la cocaina avrà però contribuito alla realizzazione di quel capolavoro musicale del quale festeggiamo oggi il quarantesimo anniversario, il disco dei Beatles, Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.

Dalla copertina, un pantheon di personaggi, da Oscar Wilde, Marlon Brando a Bob Dylan , assieme ai fab four in divisa. Come scrisse lo scrittore Langdom Winner, grazie al disco "il mondo occidentale si era sentito unito come non succedeva dal Congresso di Vienna del 1815", il regalo,come disse il guru dell'Lsd Timothy Leary, di un gruppo di mutanti mandati da Dio.

Personalmente ho sempre preferito le canzoni dei Rolling Stones, Angie e Ruby Tuesday su tutte, ma loro arrivarono comunque dopo i 4 ragazzi di Liverpool ai quali, credo, si deve comunque un grazie per la poliedricità della loro produzione e per l'aver rappresentato il primo esempio di musica di massa.