martedì 12 giugno 2007

HVALA DEJAN!



Dejan Bodiroga ha deciso di ritirarsi.

Sono poche le parole da scrivere per un campione della sua classe, della sua educazione e della sua bravura. Dejan ha detto basta, farà il dirigente, forse anche a Roma, e spiace non avergli potuto regalare stagioni più entusiasmanti. Quello che ci lascia è però una mentalità vincente, una consapevolezza che la classe può ancora rappresentare il primo elemento dello sport oltre alla pura fisicità.

Andatevi a vedere la commovente standing ovation al Palaeur di Roma dell'altra sera, finale di Lottomatica-Mps Siena, nel commento per Sky di Paola Ellisse e Riccardo Pittis:

http://www.youtube.com/watch?v=xXjjKY2m1HA

E questo è il commento di Luca Pelosi da "Il Romanista" dell'8 giugno scorso:

"Non c’è niente di più difficile, oggi, che parlare di Dejan Bodiroga.

Da quando è cominciata la sua carriera, non fa altro che stupire, e innamorare, chiunque ami la pallacanestro. Che non è, come pensano in troppi, uno sport bello per salti, corse e schiacciate. Ma può essere anche arte e poesia.

Bodiroga, più di chiunque altro, in qualsiasi continente, l’ha dimostrato. La cosa più difficile la rende semplice, la cosa più semplice la rende perfetta. Ma non è certo questa la sede adatta per spiegare che cosa sia stato Bodiroga nella storia del basket.

Forse si può abbozzare un tentativo per capire che cosa sia stato Bodiroga nella storia del basket romano.

E’ arrivato fidandosi di Pesic, che a sua volta confidava in un progetto che non c’era. Ha vissuto due stagioni allucinanti, con squadre completate o a dicembre o a febbraio, preparazioni precampionato svolte in 5, traguardi rincorsi e sfiorati senza mai avere la sensazione (tranne che in un paio di occasioni) di poterli effettivamente raggiungere.

Eppure, non è mai cambiato.

Ha affrontato ogni allenamento come se fosse una partita e ogni partita come se fosse una finale olimpica o mondiale.

Ha messo tutto se stesso in ogni singolo istante accettando di provare a fare la torta, lui che, a 34 anni, avrebbe dovuto essere la ciliegina. Ha sempre detto “Ho perso”, oppure “Abbiamo vinto”. Ha chiuso dicendo: “Ho gioito in questi due anni dando tutto quello che avevo dentro”.

Lui è il Re, Dio, il Nume, l’Onnipotente.

E’ venuto qui a sporcarsi le mani e la carriera. Lo ha fatto con la gioia che può capire, ed ammirare, solo chi sente il basket scorrergli nelle vene. E lo ha fatto a prescindere dalla mediocrità che quasi sempre lo ha circondato.

La sua non è stata solo una lezione di sport, ma anche, e soprattutto, una lezione di vita. Il Bodiroga che ha perso, cioè quello romano, probabilmente per questo è anche più grande del Bodiroga che ha vinto. Cioè quello che tutto il resto del mondo conosce.

Non ce lo meritavamo, non ci meritava. E non meritava di concludere la sua carriera con una sconfitta indecorosa come quella rimediata in gara 4 contro Siena. Più in generale, non meritava di passare due anni in una realtà che non lo ha mai messo nelle condizioni di poter vincere.

Qualunque sia stato il motivo per cui l’ha fatto, c’è solo da ringraziarlo. Dopo due anni, a Roma abbiamo tutti qualche cosa in più. Ma da domani avremmo qualche cosa di molto grande in meno.

Grazie Campione, sarà impossibile dimenticarti".

E per un campione che va ce n'è un altro che ha trovato pane per i suoi denti, Casey Stoner ha battuto Valentino Rossi sul circuito del Montmelò di Barcellona portandolo finalmente sulla terra. Un duello entusiasmante con il giovane, il pivello che rischia di mettere nel sacco il più titolato ma il Dottore non può permetterselo, sarebbe il secondo anno consecutivo ed il suo smisurato ego, forse, non glielo perdonerebbe mai.

Così scrive l'inviato de "La Repubblica" Benedetto Ferrara sul giornale di ieri:

"Ecco il 46. Ecco il fenomeno che fa i conti con qualcuno che somiglia troppo a un suo possibile clone. Lui ci ha provato. Niente da fare.

"E' stata una gara spettacolare. E' stato bello".

Beh. Per lui fino a un certo punto. Bello come uscire con una ragazza che ti scuote il cuore e poi sentirsi dire: ciao, allora magari ti chiamo io.

Ci sono magari che somigliano troppo a un forse che poi diventa un mai.

Triste finale".

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