lunedì 30 luglio 2007

LA SOLITUDINE...



L'onorevole Cosimo Mele (Udc), deputato brindisino, è stato beccato all'hotel Flora di Roma (zona via Veneto) con due zoccole, una delle quali è stata poi ricoverata all'ospedale S. Giacomo per aver assunto droga.

Nulla di grave per Mele che sostiene di non aver mai assunto droga, comunque lui si è dimesso dall'Udc ma non da deputato.

Il partito cattolico, sempre così pronto a moralizzare il globo terracqueo, è caduto su una doppia buccia di banana: deputato sposato con tre figli in compagnia di donne di facili costumi, il tutto innaffiato da un pò di coca.

E ora? Come la mettiamo con i family day, sull'opposizione ai Dico, sul fare i leccaculi dei vescovi?

Comodo fare i moralizzatori, dimettersi dal partito ma non da parlamentare e papparsi lo stipendio per organizzare magari qualche puttan tour.

Queste le reazioni del mondo politico raccolte da Carla Reschia su "La Stampa" di oggi:

" Come una ventata d'aria fresca nel fine luglio più afoso degli ultimi anni, l'affaire Mele ha distolto il Parlamento da questioni noiose come le pensioni e la giustizia permettendo agli onorevoli di misurarsi con la questione morale, da sempre cavallo di battaglia della nostra politica.

Ecco senza pretese di completezza e con tante scuse per l'extrapolazione, alcune delle dichiarazioni più interessanti in merito

La solitudine del deputato «La solitudine è una cosa molto seria e la vita del parlamentare è una cosa dura per chi la fa seriamente. Al parlamentare bisognerebbe dare di più e consentire il ricongiungimento familiare», Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc

Stupefacenti «Le affermazioni di Cesa sul ricongiungimento familiare dei parlamentari sono stupefacenti».Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera

Diserzioni «Inaccettabile che altre forze di opposizione abbiano rinunciato al proprio dovere di parlamentari disertando l’Aula della Camera, anche, forse, per il poco nobile motivo di farsi tre giorni sotto l’ombrellone». Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, il giorno del voto sulla riforma della giustizia, alla vigilia della notte brava di Mele (che non era in aula)

Proverbi «Questo mi sembra uno dei classici casi in cui la toppa è davvero peggiore del buco». Silvana Mura, deputata di Italia dei Valori, a proposito delle dichiarazioni di Cesa sulla solitudine dei deputati.

Ammirati «Siamo ammirati dalla delicatezza d’animo dell’onorevole Cesa che combatte la solitudine e promuove il ricongiungimento familiare. Sono temi che la vicenda Mele rende di strettissima attualità e pertinenza. Ci farebbe piacere che l’alto funzionario della Camera che ha illuminato a riguardo il Segretario dell’Udc uscisse dall’anonimato e ci consentisse di approfondire tutti questi argomenti». Stefano Graziano, dirigente organizzativo dell’Italia di Mezzo.

Personalmente «Personalmente saranno più di trent’anni che non fumo nemmeno una sigaretta, ma non mi sottoporrò al test anti-droga proposto dall’Udc. Intendo così rivendicare il diritto all’imperfezione, alla contraddizione e all’errore». Gaetano Quagliariello, senatore di Forza Italia.

New entry: il devoto puttaniere «Dopo il caso Mele abbiamo una nuova categoria che è venuta alla luce: i puttanieri moralisti». Franco Grillini, deputato della Sinistra democratica, presidente onorario dell’Arcigay.

Strangers in the night «La signora mi era stata presentata quella sera a cena da amici».Cosimo Mele, ex deputato Udc

Come De Sade insegna «Non comprendo perchè ci si debba scandalizzare per il povero nostro collega che in modo appartato si era dato a giochi del tutto eterosessuali di cui è piena la storia del mondo e per il quale il marchese De Sade viene considerato un grande letterato e maestro di costume». Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica

Metti un cane a Montecitorio «Sono davvero dispiaciuto per il linciaggio pubblico in corso nei confronti di Cosimo Mele. Dissi, ormai mesi fa, che se un cane poliziotto fosse entrato a Montecitorio, si sarebbe ’arreso’ ». Daniele Capezzone, deputato della Rosa nel pugno.

Silenzio stampa «Chiedo silenzio e rispetto per il parlamentare e la sua famiglia».Gianfranco Rotondi, segretario della Democrazia Cristiana per le Autonomie

Con rammarico «Con rammarico ed amarezza, anche per la sofferenza dell’uomo, ma l’Udc deve chiedere a Mele le dimissioni da deputato». Maurizio Ronconi,vicecapogruppo dell’Udc alla Camera

Maestro Flaiano. Come diceva Flaiano, «a situazione è grave ma non seria». Salvatore Bonadonna, deputato Prc".

sabato 28 luglio 2007

AUGURI ROMA!



80 anni d'amore, semplicemente... di Roma!!!!

Il racconto della festa giallorossa di domenica sera nell'articolo di Antonio Maglie dal "Corriere dello Sport" del 27 luglio 2007:

"Un unico, gigantesco palpito, tre milioni di cuori quanti ne stimò alcuni anni fa l’Eurisko.
Avvolti in una ban­diera fatta di luci.
E di due soli colori: giallo e rosso.
Sweet Dream: le note di Annie Len­nox rimbalzano dagli altopar­lanti dell’Olimpico mentre le mamme esibiscono orgogliosi i loro bambini inguainati in cal­zoncini e magliette degli unici colori possibili.
Sul bavaglino il «programma» di una squadra e di una tifoseria: Veni, Vidi, Vi­ci.
Un sogno dolce lungo ottan­t’anni, a volte amaro ma mai ri­pudiato, come si dice nei matri­moni, nella buona e nella catti­va sorte.
La sorte è passata sot­to gli occhi degli oltre cinquan­tamila dell’Olimpico e sugli schermi di chi simbolicamente era lì.
I giorni della nascita, quel 1927 in cui gli uomini co­noscevano cose nuove: Lin­dbergh che con il suo Spirit Of Saint Louis attraversava in vo­lo l’Atlantico, le prime immagi­ni televisive via cavo, i film con il sonoro. La Roma nasceva con Benedetto XVI e Ferenc Pu­skas.
E’ cresciuta, la Creatura.
La guarda orgoglioso dalla sua so­lita poltroncina, il presidente Franco Sensi.
La guardano i ti­fosi che sono cambiati, in que­sti otto decenni.
Roma ha cele­brato Roma. E anche la storia di una città che è lì da tremila anni, con le sue passioni, a vol­te esagerate, ma sempre genui­ne. Perché la città e la squadra hanno intrecciato le proprie vi­te, a volte caratterizzando an­che le vite di altri venuti da al­tri posti, altre realtà e rimasti coinvolti.
Come testimonia Li­no Banfi romano di Canosa che ricorda il suo amico Nino Man­fredi cantando quella canzone che ha in qualche maniera tra­sformato il romanesco in una lingua internazionale come l’inglese («Tanto pe’ cantà»).
E’ la Roma del calcio e la Roma del cinema, di Gassman e, so­prattutto, di Alberto Sordi. E’ un coinvolgimento che testimo­nia Carlo Ancelotti: «Grazie per gli otto indimenticabili an­ni che mi avete regalato. So che avete un sogno da coronare: io l’ho appena realizzato, auguro presto altrettanto a voi». Il rife­rimento, nemmeno celato, alla Champions League.

Si susseguono e si sovrap­pongo le immagini. Si susse­guono e si sovrappongo i prota­gonisti delle diverse «Ere» cal­cistiche.
A volte le «Ere» si me­scolano come nella partita fina­le con Ancelotti in campo insie­me a Totti.
E da lontano un indimenticato spettatore e ca­pitano: quel Nino che come cantava Francesco De Gregori, non doveva aver paura di tira­re un calcio di rigore perché non è da questi dettagli che si riconosce un calciatore.
Di Bartolomei non aveva paura in campo, solo la vita lo ha piega­to.
E ieri sera è riapparso in campo con il figlio Luca, una goccia d’acqua, gli stessi occhi buoni.
Il tempo si è fermato mentre sul mega-schermo scorrevano le immagini di Ni­no, con la sua maglia numero 10. Il calcio è questo: un gran­de romanzo con un lieto fine da riscrivere quasi ogni giorno.
Chissà quanti finali avrà vi­sto riscrivere Amedeo Amadei, il Fornaretto frascatano che avrà vissuto questa serata sen­tendosi come il protagonista di quel famoso film americano, «Ritorno al futuro».
Lui ha avu­to il privilegio di costruire il passato e anche la fortuna di guardare in faccia il presente. Che gli si dipana davanti agli occhi, mentre sul palco salgo­no quelli che qui forse non ci sarebbero se non ci fosse stato lui più di mezzo secolo fa.E la mamma sussurra al­l’orecchio del bimbo i nomi di quelli che hanno attraversato la storia di un sogno dolcissimo: Giacomino Losi e Ghiggia, Sor­mani e Pizzaballa, e Cerezo che è sempre lo stesso, con un filo di pancia in più e la voglia di divertirsi.
La stessa degli anni in cui la Roma di Dino Viola sfi­dava la Juve di Giampiero Bo­niperti; e Falcao era l’Ottavo Re di Roma perché a questa città sette non ne bastavano.
E Nela, l’Hulk genovese.
E Pruz­zo.
E Aldair, il più amato.
E Montella.
E Delvecchio.
E Bru­no Conti che unisce, con ruoli diversi epoche diverse.
Il pre­sente è quello sotto il segno di Totti e Spalletti.
Lassù in tribu­na Franco Sensi li vede sfilare con le maglie nuove.
Lui festeg­gerà ottantuno anni fra qualche giorno.
Solo uno in più della Roma: le storie possono essere perfette anche nei numeri.

Sof­fia forte, Roma, su quelle ottan­ta candeline".

venerdì 27 luglio 2007

GIALLI...DI VERGOGNA

Da "La Repubblica" di ieri, l'articolo dell'inviato al seguito del Tour de France, Gianni Mura:

Il Tour parte senza maglia gialla.
La maglia gialla in carica, Michael Rasmussen detto il Pollo, è partito la sera prima dall'hotel Mercure di Pau su un'auto della Rabobank, destinazione ignota. Chi dice Italia, chi Monaco.
Gli stessi dubbi di quando eludeva controlli e prelievi, come una Primula rossa vestita di nero. Lui a casa, gli altri in corsa.

Nei frequenti scambi di opinione tra organizzatori e Rabobank ci sta pure un occhio di riguardo. Al raduno di partenza Boogerd, uno degli anziani della squadra, fa a cazzotti con uno spettatore dai capelli grigi, camicia bianca e bermuda blu, che aveva gridato "banda di drogati". E intanto lo stato maggiore del Tour parla ai microfoni.
Patrice Clerc: "de Rooij ci ha avvertito che Rasmussen aveva mentito alla squadra sul protocollo di responsabilità". Christian Prudhomme: "Oggi la classifica è più credibile. La partenza di Rasmussen è la cosa migliore che ci sia capitata negli ultimi giorni. Ribadisco che Rasmussen non avrebbe mai dovuto presentarsi alla partenza". Nel regolamento antidoping dell'Uci sta scritto all'articolo XIV.8.220 che "nel quadro di un avviso scritto o di un controllo saltato nei 45 giorni prima delle grandi corse a tappe, il corridore non può prendere parte a quella corsa". Rasmussen può avere raccontato un sacco di bugie, ma sulla data di comunicazione del cartellino giallo, chiamiamolo così, ha detto la verità: 29 giugno.
Il Tour non lo sapeva.
Rasmussen sì, la Federciclo danese sì, l'Uci sì, Theo de Rooij sì, la Rabobank sì. Ecco perché la storia non finirà qui. Si profila una spaccatura totale, e al Tour stanno pensando seriamente di tornare alla formula per squadre nazionali (ultima volta nel '68, vinse Janssen).


Ma questo è un discorso politico, mentre nella vicenda sono interessanti i risvolti umani. Nelle foto notturne del suo passo d'addio, Rasmussen sembra quello che è, un uomo distrutto. Un uomo solo, tradito dalla sua mania di solitudine e dalla sua ambizione di entrare nella leggenda del Tour.
Ma piuttosto distrutto è anche Davide Cassani, da quando s'è reso conto di rappresentare l'ultimo, determinante chiodo conficcato nella bara sportiva di Rasmussen. Dalla Danimarca e non solo gli sono arrivati molti messaggi, i più garbati dei quali gli danno del giuda e del figlio di puttana. Altri lo accusano di aver preso soldi dalla Rabobank e dal Tour.
Si sapeva della telefonata di de Rooij-Cassani, mercoledì all'ora di cena. Gli chiedeva conferma dell'incontro casuale con Rasmussen in Trentino e Cassani ha confermato. Da qui l'immediata cacciata del reprobo dal tempio. Non si sapeva, l'ha detto ieri Cassani ai microfoni della Rai, che gli avesse telefonato anche Rasmussen, molto più tardi. "Un filo di voce, la voce di un uomo finito, distrutto, con la mia collaborazione involontaria ma determinante. Ho parlato in diretta di Predazzo la prima volta il giorno di Tignes, quando lui era in fuga. E l'ho fatto con ammirazione, per dire quanto fosse professionista un corridore che s'allenava otto ore sotto la pioggia. Lo scandalo Rasmussen sarebbe uscito pochi giorni dopo, quindi non avevo nessuna intenzione di nuocergli, ho solo detto la verità".
E cosa gli ha detto Rasmussen? "Non ha alzato la voce, non mi ha insultato. Mi ha detto delle cose che voglio tenere per me. Alla fine, ho pianto a lungo, come un bambino".

Un bambino a Morlaas alza uno striscione forse scritto da suo padre: "Rasmussen dehors. Merci". Altro cartello, più in là: "A quando un Tour pulito?" Secondo una rispettabile corrente di pensiero, lo sporco che esce da questo Tour è la prova che si sta smacchiando, che la pulizia è in atto. Prudhomme, nel suo discorsetto prima della partenza, ha tenuto a ringraziare la Cofidis e in particolare il suo manager, Eric Boyer, che ha ritirato tutta la squadra dopo la positività di Moreni e anche tutti i veicoli dalla carovana pubblicitaria. "Abbiamo bisogno di Boyer e di dirigenti come quelli della Cofidis, di tutta la gente di buona volontà che vuole costruire con noi il futuro". Anche se, vorrei aggiungere, il primo problema sembra quello di puntellare il presente. Moreni è uscito dal commissariato di Pau nel cuore della notte. I giornali sono pieni di foto sue, in tuta rossa, tra due gendarmi. Sembra che Moreni, positivo al testosterone, abbia usato un cerotto a rilascio lento.

In questo bel quadretto, gli italiani scelgono sempre il momento sbagliato per vincere una tappa. Pozzato aveva vinto il giorno della caduta di Vino, Bennati il giorno della tirata di collo al Pollo. Dopo 6 km la fuga buona, di otto corridori: Elmiger, Voigt, Fothen, Millar e ben quattro dei nostri: Tosatto, Righi, Quinziato e Bennati. Primi 92 km volati in due ore. Vantaggio massimo mai oltre 2', poi il gruppo molla. Tutti sanno che Bennati è il più veloce e tutti cercano di seminarlo, nel finale. Ma Pantera, questo il soprannome del bell'atleta di Arezzo cresciuto alla scuola di Cipollini, ha gamba buona e occhi lunghi. Forse passerà alla Liquigas, due galli (l'altro è Napolitano) nel pollaio sono troppi. Bennati è troppo forte per perdere questa occasione. Dedica la vittoria alla moglie, Chiara, e non si sottrae a domande sul doping. "Sono molto triste. Fare il corridore per me è più passione che lavoro, ho cominciato a dieci anni. Questo è un brutto momento, si spera sempre che ogni volta sia l'ultima e invece no. Io credo che la maggioranza di noi sia pulita, ma è giusto intensificare la lotta al doping. Non si può tradire l'amore di tutta questa gente che viene a vederci".

Mille volte meglio Bennati della banalità della nuova maglia gialla, Contador. "Rasmussen? Non posso giudicare, non so tutti i particolari, non guardo la televisione, non leggo i giornali, penso solo a correre". Ma lei è pulito? Collabora col dottor Ferrari? Chi sono i suoi medici? "Se non fossi pulito non sarei qui. Mai visto il dottor Ferrari in vita mia. I miei medici sono quelli della mia squadra".
Contador ha 113'' su Evans. Potrebbero bastargli a vincere il Tour, ma forse non i sospetti su un corridore cresciuto con Manolo Sainz.

sabato 14 luglio 2007

SOSTIENE PUFFONE...



C'è una città affacciata tra il Tejo e l'oceano Atlantico della quale si parla poco, molto poco.
Parlo di Lisbona, capitale del Portogallo.

Reduce da un viaggio in questo splendido paese mi permetto di offrirvi dei piccoli suggerimenti per chi avrà la ventura di visitare proprio Lisbona.

Città distesa su sette colli e attraversata da un'efficiente rete tranviaria, vecchie vetture cigolanti che affrontano pendenze da brivido, su tutte la linea 28 che senza paura sale verso l'Alfama, la Sè (la cattedrale metropolitana) ed il castello di San Jorge.

A soli 3 Km. dal centro cittadino una passeggiata a Belèm per visitare la torre, il monastero dei Jeronimos e per mangiare i pastèis de Berlèm, pasticcini alla crema pasticciera la cui segretissima ricetta è da anni tramandata a pochi fortunati eletti.

Quando, stanchi per aver camminato sull'acciottolato lisboeta e dopo aver lustrato gli occhi con uno splendido panorama da uno dei tanti miradoures (belvedere) della città, aveste un languorino c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Due indirizzi su tutti.

Accanto al convento del Carmo, proprio di fronte alla caserma della Guardia nazionale repubblicana (dove cercò rifugio l'ultimo dittatore di destra del Portogallo, Marcelo Caetano, prima di fuggire incalzato dallo scoppio della rivoluzione dei Garofani del 1974) c'è una piccola osteria, Super Mario.
Niente turisti, solo operai, pescatori ed impiegati che vengono a sedersi per gustare le specialità del giorno affisse alla porta in due versioni (una a penna per i locali e al computer per gli stranieri) quali il baccalà ai ceci, una grigliata di maiale il tutto annaffiato da un economicissimo vino della casa. Mangiare le abbondantissime mezze porzioni (5 euro) mentre chi vorrà strafogarsi non dovrà far altro che chiedere una normale "dose". Il proprietario è gentilissimo ed affabile con gli stranieri pur parlando esclusivamente uno strettissimo portoghese.

Simile ma anche diverso un altro postone.
Accanto al capolinea della funicolare della Bica, nel bel mezzo del regno del fado e della notte lisboeta, il Bairro Alto, troverete un altro localino a prova di stranieri e frequentato esclusivamente da gente del luogo. Si chiama Casa Liège, arredamento curato e colorito, gestione familiare, senza mezze porzioni ma altrettanto economico (anche qui se scegliete los platos do dia non vi allontanerete dal range 4-6 euro, birra a un euro). Specialità fantastiche tra le quali Lulas (calamari) e Rojoes (bocconcini di maiale marinati e fritti) che aspettano solo voi.

E se andrete a Lisbona sono convinto che ci ritornerete, ormai avvinti da una incontenibile saudade.

Nel frattempo un salto in biblioteca od in libreria per leggere "Sostiene Pereira" di Antonio Tabucchi (ed. Feltrinelli) ed il suo bellissimo incipit:

"Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava".

giovedì 5 luglio 2007

CIAO CLAUDIO



E' morto ieri, all'età di 60 anni e dopo una lunga battaglia contro la distrofia muscolare, Claudio Rinaldi, uno dei migliori giornalisti italiani.

Vecchio leader di Lotta Continua (senza mai vantarsene però), ex direttore di giornali quali "L'Europeo", "Panorama", "L'Espresso", columnist de "La Repubblica" e collaboratore di Radio Capital, Rinaldi ha rappresentato un modo "diverso" di fare giornalismo.

Leggendo i suoi articoli non si trovavano toni fioriti, poetici, da elzevirista ma solo il nudo fatto, raccontato senza omissioni. Ma quello che non mancava mai era il suo punto di vista: non i fatti separati dalle opinioni come gli aveva insegnato il suo maestro Lamberto Sechi, inventore del "Panorama" in versione tabloid, ma la sua opinione si stagliava netta, lucida, sapevi quel che pensava e quel che voleva dire.

Direttore de "L'Espresso" al momento della discesa in campo di Berlusconi, non gli lesinò fortissimi attacchi arrivando a disegnarlo in divisa da balilla fascista con il fez sottolineando l'anomalia democratica insita nell'esperienza politica del tycoon meneghino.

Sciabolatore della sinistra e delle sue incertezze, arrivò a coniare il termine Dalemoni per mettere in guardia da un possibile accordo bipartisan tra Ds e Forza Italia.

Nonostante il lento avanzare della malattia, Rinaldi ha scritto fino all'ultimo tanto che "L'Espresso" in edicola domani uscirà con un suo pezzo. E rimarrà il ricordo di un uomo sempre allegro, ironico che in tutto questo bailamme non lesinava mai pensieri sulla sua Roma e sulle traversie calcistiche della squadra della Capitale.

Con la morte di Claudio Rinaldi se ne va quello che gli spagnoli amano definire un "hombre vertical".

mercoledì 4 luglio 2007

MONO

Ieri sera, tornato a casa, ho avuto il piacere di guardare su All Music uno speciale dedicato alla carriera di Daniele Silvestri.

Mi ha fatto davvero molto effetto osservare quanto le canzoni del cantatutore romano abbiano avuto un ruolo non indifferente nella mia adolescenza/giovinezza.
Gli inizi, "L'uomo col megafono", "Le cose che abbiamo in comune", quel codino che a me dava tanto fastidio.
La maturazione con gioiellini quali "Cohiba" (davvero un inno generazionale), "Banalità" (una marcetta che non sarebbe dispiciuta per stili e contenuti a Paolo Conte) o la dolcissima "Strade di Francia" fino a quel pugno nello stomaco sanremese, "Aria".
Il boom infine, "Salirò", "Il mio nemico non ha divisa" (con quella citazione affettuosa per De Andrè) e la splendida "Autostrada" (andatevi a leggere il testo e dopo ascoltatela, magari nel doppio live).
Sanremo ancora stupita con "La paranza", chi l'ha definita commerciale ma in realtà dietro il ritmo sudamericano, le atmosfere da mambo club de L'Havana pre-rivoluzionaria, c'è veramente tanto, molto.

Era francamente un piacere vederlo ier sera e sentirlo parlare. Mi da l'aria di un vecchio amico col quale abbiamo davvero molto in comune.
Stessa città, stessa squadra (La Roma!!!!!!!), stesse simpatie politiche, lo stesso rispetto sacrale per l'amicizia (vedi il suo rapporto con Valerio Mastandrea) o il suo essere davvero alla mano.

Ricordo un suo concerto nell'estate 2002 a La Palma ed il suo rimanere almeno mezz'ora a firmare autografi e ad avere una parola buona per tutti, mentre mi firmava l'autografo non faceva altro che ridere nel vedermi così svociato ed esaltato.

Hasta siempre Daniele!!!!!

martedì 3 luglio 2007

ROSSI D'INVIDIA

Non lo amo, mi è anche abbastanza antipatico ma le grandi imprese vanno celebrate.
Lasciamo la parola alla penna di Benedetto Ferrara, inviato de "La Repubblica" ad Assen:

"C'era una strana aria intorno a lui.

Troppi i discorsi che gli giravano intorno.

C'era addirittura chi iniziava a prefigurare inquietanti scenari di declino, una specie di rettilineo del tramonto condito da tutti gli accessori del caso: il suo erede che gli scippa l'eredità di mano e fugge via veloce sulla sua moto rossa, presunti tormenti sentimentali che dal gossip da rotocalco rosa diventano all'improvviso curiosi ragionamenti tecnici.

Per educazione e sano pragmatismo Valentino Rossi ha sempre preferito offrire la spiegazione più semplice, cioè quella che mette nelle mani del gommista e non dell'analista la risposta a un momento difficile (...).

Concetto semplice: sull'asciutto e con le gomme a posto Valentino se li mangia uno a uno.

E non sarebbe nemmeno giusto dire semplicemente che ad armi pari lui è sempre il più forte. Perchè nei fatti, la Yamaha pari alla Ducati non lo è: la moto italiana è più potente, su questo dubbi non ce ne sono (...)

e la corsa si riapre, con un Valentino rinato e deciso a lottare fino alla fine.

E magari anche a dormire sonni tranquilli quando le previsioni del tempo ti invitano a prendere l'ombrello".