sabato 13 settembre 2008

DEDICATO


Non c'è molto da dire riguardo le polemiche volgari seguite alla dedica di Ddr della doppietta al suocero.
"Il Giornale", con la penna di Cristiano Gatti, lo ha insultato pesantemente dandogli del connivente, del boro, del borgataro e del complice. Non varrebbe la pena rispondere a qualunque cosa esca sul giornale del fratello del presidente del consiglio, un foglio che serve solo a incartare le uova, ma sono francamente stanco del razzismo becero, del pressapochismo cialtrone che alberga in quell'ambiente.
Mi servo della penna di Stefano Bocconetti che dalle colonne di "Liberazione" scrive parole che sento di condividere e a Gatti posso solo dire di mostrare lo stesso coraggio quando Berlusconi ribadirà che il mafioso Mangano era una brava persona o quando Alemanno e La Russa difenderanno nuovamente il fascismo.
Anche se dai maggiordomi non puoi mai aspettarti molto.
"E' successo diverse settimana fa.
In quel periodo ci fu qualche titolo sui giornali ma con discrezione.
Con una discrezione inusuale per il nostro paese e la nostra stampa. Come se all'improvviso i giornali avessero scelto di rispettare il dolore di una persona. Anche se si trattava di un personaggio pubblico.
Poi, l'altro ieri la doppietta di Daniele De Rossi in nazionale. Sul secondo gol, sui festeggiamento su quel gol a pochi secondi dalla fine, nessuno ha avuto nulla da ridire. Daniele è stato sommerso dall'abbraccio dei compagni. Un abbraccio liberatorio di una squadra, campione del mondo, che stava vivendo gli ultimi istanti della partita con la Georgia sotto assedio, con tutti e undici gli uomini di Lippi a difesa del vantaggio.
Il «problema», però, c'è stato al primo gol. Dopo il primo, splendido gol. Un tiro da trenta metri che si è andato ad infilare dove nessuno avrebbe potuto immaginare, all'incrocio dei pali. Daniele ha esultato da solo, prima di ricevere l'abbraccio dei compagni. Ha esultato da solo, in modo semplice, com'è nel suo carattere.
Un salto nell'aria, col pugno stretto. Un gesto che in tutto il mondo significa: ce l'ho fatta. Poi, ha rivolto lo sguardo al cielo e ha appoggiato due dita sulle labbra. Anche questo è un gesto di facilissima traduzione: è un saluto rivolto a qualcuno che non c'è più. A chi era dedicato quel gol? Negli spogliatoi, mentre Lippi rispondeva con improbabili commenti sul «dinamismo» degli azzurri ad altrettanto improbabili domande, qualcuno ha chiesto a De Rossi per chi fosse la dedica.
Nessun imbarazzo da parte del centrocampista giallorosso: per il padre di sua moglie.
Una risposta che non è passata inosservata. Non subito ma il giorno dopo. Quando un sindacato, uno dei sindacati dei poliziotti, ha scritto nientemeno che un comunicato per dire che il gesto di De Rossi era «diseducativo».
Non andava fatto. Perchè? Perché era rivolto ad una persona che aveva violato la legge, un bandito. Uno che aveva avuto precedenti con la giustizia. Il sindacato di polizia ha criticato De Rossi e gli ha offerto un suggerimento: la prossima volta dedichi le sue prodezze a degli eroi. Per esempio, alle vittime delle Twin Towers. Dimenticandosi che anche alcune delle vittime dell'11 settembre avevano avuto qualche guaio con la giustizia.
Ma non è finita.
Perché ieri un giornale - un giornale di destra: «Il Giornale» - ha dedicato un lungo fogliettone al caso. Definendo il gesto di De Rossi «imbarazzante e sgradevole». Pure qui, qualche suggerimento al calciatore: si può ricordare il suocero ucciso ma in privato.
Solo in privato.
E ancora: nell'ormai tradizionale conferenza stampa che precede le partite, solerti giornalisti hanno «investito» del problema anche l'allenatore giallorosso, Luciano Spalletti. Ma lei, che ne pensa?, gli hanno chiesto. E forse basterebbe la risposta pacata di uno dei più bravi allenatori italiani, per chiudere la vicenda: «Non è lecito giudicare i sentimenti... Ho letto dei titoli veramente imbarazzanti».Solo che Spalletti - che fra i suoi compiti ha anche quello di tenere lontano i suoi ragazzi dalla violenza di giornalisti mediocri - ha aggiunto che forse «meno se ne parla di questa vicenda meglio è per tutti».
Dal suo punto di vista è giusto.
Ma forse non è giusto per tutti gli altri. Perché quel comunicato del sindacato di polizia, la campagna dei giornali di destra raccontano di una barbarie che ha ormai superato ogni confine. La barbarie di un paese dove si bruciano i campi rom, dove bambini rom vengono torturati in una caserma - e nessun sindacato scrive comunicati di protesta -, un paese dove è vietato tutto, anche chiedere l'elemosina.
Ora il «controllo» arriva anche alla sfera personale, a quel che si prova.
Arriva al dolore. Perché c'è un dolore legittimo. Quello per le tragedie che «il senso comune» considera come sue, che la «maggioranza» - parlamentare e silenziosa - considera accettabili. Così sono permesse le lacrime davanti alle telecamere, così è consentito l'omaggio alle vittime.
Se sono «innocenti». Come quelle degli incidenti stradali o dell'11 settembre.
Niente da fare, invece, se il dolore è rivolto ad una persona che ha sbagliato. Ad un fuorilegge. O meglio: è consentito ma solo nel chiuso della propria stanza. Perché altrimenti si finisce per omaggiare un deviante. Queste sono le nuove leggi.
Dove conta colo cosa si è fatto e cosa si fa.
In una fabbrica come in una sperduta cittadina dell'hinterland romano.
Dove non contano mai le persone.
Con i loro sbagli, i loro errori, i loro sentimenti.
Queste sono le nuove leggi, i nuovi valori. Che rivendicano l'uguaglianza davanti alla morte solo se si tratta dei militari della Repubblica sociale. Ma che poi dividono fra morti buoni e morti cattivi. Fra morti da ricordare e morti da dimenticare.
Daniele ha rotto questo schema.
Con un gesto semplice, immediato.
Spontaneo.
E fra chi festeggia un gol mimando lo sparo di una raffica di mitra e chi manda un bacio al cielo, non c'è dubbio da che parte stare".

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