martedì 17 giugno 2008

Alberto Fortis - A voi romani


Solo 7 anni fa vincevamo lo scudetto.

Ma perchè festeggiare con Venditti, Zampa o qualche altro coro da stadio?
Non è più bello ricordare quel bellissimo giorno riascoltando uno dei pezzi più belli di uno dei più geniali cantautori italiani, una canzone contro Roma e i romani?

E quel giorno così lo vide Gabriele Romagnoli da "La Repubblica" del 18 giugno 2001

"Nudi alla meta, più uno in ciabatte (il portiere), un altro in mutande (il difensore centrale) e la Ferillona che giura di adeguarsi presto.

Il "popolo giallorosso" come lo chiama lo speaker dell' Olimpico, arriva all' appuntamento con la Felicità così com' è: tanto, sbracato, incontenibile, con il cervello spento per inevitabili minuti dieci e il cuore sovraccarico per il resto della vita, che passerà a coccolarsi un ricordo e menare un vanto: "C' eri, tu, allo stadio, quel giorno che?".

E bisognava esserci per capirlo, il giorno in cui apparvero diecimila bandiere e neppure uno striscione; in cui Totti correndo con il trionfo sulle spalle indicò la tribuna e disse: "E' vostro!";

la mamma incinta si guardò la pancia e come in una canzone di Battisti, disse: "E' anche per te";

la sposa radiosa baciò Sensi e tutti pensarono: "Mò ci diventa un principe";

Cesare Romiti pianse e anche se erano lacrime di gioia, uno lo paga volentieri il biglietto, per vedere certi spettacoli.

Bisognava essere lì quando annunciarono l' immancabile gol di Trezeguet, ma nessuno ebbe paura, per capire che il popolo (giallorosso o no) ha il radar: sente in anticipo gli ombrelli di Altan, ma anche il sole dietro le nuvole;

lì quando Montella segnò e corse incontro alla curva con quella faccia da bambino messo in castigo, che aveva solo voglia di giocare;

quando la Ferillona ha "ringraziato Dio di averla fatta romanista" e Capello stava per rispondere: "Non c' è di che, signorina";

quando lo juventino Veltroni s' è messo la sciarpa giallorossa, perché è il sindaco di tutti e di Totti (e un po' anche di Nesta, non si sa mai).

Bisognava essere all' Olimpico anche per capire il buio nella mente di un migliaio di ragazzi a cui, a sei minuti dalla fine, si è spento l' interruttore e alè, tutti dentro al campo, rischiando di riuscire là dove questa Roma aveva fallito: perdere la partita e gettare lo scudetto. C' è poco da scusare, ma anche poco da spiegare, per loro vale quello che dice Totti: "E' vostro!" e sono andati a prenderselo, rotolandosi sul campo, aggrappandosi alla maglia di Delvecchio e alle mutande di Tommasi. Se volevano fermarli, bastava mettere il cordone di polizia prima. Non erano minacciosi, né violenti, forse erano "scemi, scemi" come li chiamava chi era rimasto sugli spalti, forse anche peggio, come urlava loro Capello (l' unico al quale non abbiano neppure osato toccare la cravatta, per non prendersi un morso); l' unica certezza è che erano felici e, in qualunque forma si presenti, va portato rispetto alla Felicità.

Molti di loro non c' erano o erano troppo piccoli, diciotto anni fa. Liedholm, Falcao, Bruno Conti, sono leggende che appartengono ai padri, come il partito comunista, lo sbarco sulla luna e Frank Zappa. Il destino gli ha rifilato Andrade, la Margherita, il Grande Fratello e i Lunapop.

Da ieri pomeriggio, dopo che hanno dato di matto per dieci minuti, hanno in mano la propria leggenda, presumibilmente in forma di zolla calpestata da Cafu o di canotta appartenuta a Mangone.

E che la Felicità sia con loro. Il commento severo sulla follia a un passo dal traguardo spetta a quelli che sanno essere padri severi, a quelli che trovano cafona la gioia romanista e rimpiangano pure la mancata festa juventina che (per rispetto dello stile) si sarebbe limitata a quattro clacson e un barbecue con le costolette dell' allenatore campione;

spetta, soprattutto, a quelli che trovano cafona la gioia in generale e non esultano mai, che vincano le elezioni o il Bingo, troppo assuefatti al successo, troppo avari con se stessi.

Il "popolo giallorosso" è l' esatto opposto: ha staccato ieri uno dei due o tre bonus per la Felicità a cui ha diritto nella vita (se ce l' ha lunga) e se lo vuol godere fino alla rovina.

Bisognava esserci, per capirlo, svegliarsi in quel silenzio così diverso dalla vigilia di Roma-Napoli, quando l' eccesso di confidenza e anticipazione aveva fatto da antipasto al piatto vuoto della delusione.

Bisognava andare all' Olimpico e vederli prendere coraggio strada facendo, ognuno con i suoi mezzi, magari arrivando a pezzi, su una vecchia bicicletta da corsa, con gli occhiali da sole e il cuore nella borsa.

Bisognava sentire il racconto delle ultime scaramanzie: "Mio figlio, quello piccolo, di ventun anni, ieri alle dieci in punto si è trovato a casa di un amico con tutta la sua compagnia, hanno passato la notte a riguardare le cassette delle partite vinte, senza dormire, poi, alle dieci del mattino, sono venuti allo stadio, ad aspettare~non so, credo che pensino, facendo così, di esserselo meritato".

E magari era vero, perché quando passarono in tribuna stampa il foglio con le formazioni, c' era in campo dall' inizio Montella e se c' era anche un pallone rotondo, il risultato era segnato.

Il pubblico lo sapeva, ha decretato gli uominipartitascudetto all' annuncio dello speaker: ovazioni per Totti e Montella.

Si è aggrappato al capitano per arrivare in porto, perché quando lo indica dice: "E' nostro!", ed è vero.

Totti ha fatto 13 (gol) e il pubblico ha incassato la vincita, in nome e per conto.

Bisognava stare lì, tra il primo e il secondo tempo, sul 20, tra tutta quella gente con la sicura ancora inserita, ma l' esplosione ormai assicurata e godere dell' ultima scaramanzia, capace di produrre piccoli ma significativi miracoli, tipo Paolo Liguori che non parlava e Manuela Arcuri che, per distinguersi, non si spogliava, anzi si metteva un' altra maglia.

E poi accompagnarli fino in fondo, al terzo gol di Batistuta all' invasione demenziale che lasciò tuttavia sul campo scampoli di verità: il re (leone) è nudo, Totti porta le giarrettiere e Antonioli è pronto per mettersi in pantofole e guardare il calcio con il decoder.

E poi andarsene di lì con le carovane dei motorini, i clacson che rimbombano sotto i tunnel del Muro Torto;

i caschi dimenticati in favore delle bandane; le bandiere scippate al volo ai chioschetti improvvisati dagli ambulanti, tutti curiosamente simili a Jonathan Zebina, che deve aver avvertito la famiglia dell' occasione;

le barriere d' accesso al centro storico rimosse dagli stessi vigili: "La storia siete voi"; primi ad arrivare in piazza Navona a stupire i turisti, a fare il girotondo di Piazza Venezia.

Si può essere come il protagonista di "Fight Club" e stare bene andando alle riunioni di quelli (alcolisti, drogati, malati terminali) che stanno peggio o cercare di star meglio lasciandosi contagiare da quelli che sono felici.

Consiglio per i depressi non affetti da snobismo: venite nella Città della Gioia, fatevela scivolare addosso e, quando ve ne andate, non spegnete la luce".

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