martedì 29 maggio 2007

FESTA DI FAMIGLIA


"Ora decida tranquillamente se togliere o tenere la famosa placca.
Decida per sè, non per la Nazionale, che in passato non gli ha mai riservato gesti affettuosi.
Per Nazionale intendiamo l'ambiente che circonda l'azzurro, di cui fanno parte anche i giornalisti. Volendo, possono sempre chiamare Cassano". Roberto Renga, Il Messaggero, 28 maggio 2006.

"C'è solo un 71, un 71...».
Chi non stava in curva ci ha messo un po' a capire cosa stesse cantando la Sud. Ci ha messo un po' perché non cantava soltanto il numero di maglia di Alessandro Cesaretti, portiere romano del Messina che finalmente non aveva parato il secondo gol necessario a Francesco Totti (e che non poteva che essere chiamato col numero di maglia visto che non sta sull'Almanacco Panini 2007).

La Curva Sud cantava molto di più: la liberazione dall'Old Trafford, l'esorcismo completato dei Diavoli Rossi proprio nel giorno della festa. Quel mostro di risultato stava lì in bella posta davanti alla Curva Sud, nel giorno in cui Spalletti fa come Conti con lo scarpino, in quello in cui figli continuano la storia dei padri e si prendono in braccio il futuro di questa squadra: tra Cristian Totti e Franco Sensi ci stanno esattamente 80 anni di differenza, la stessa età della Roma che ha imparato a crescere. Il passato non fa più paura adesso, ma è una vittoria.
Ieri è un giorno di festa. Chi non credeva fosse possibile vedere alzare una coppa da diecimila persone adesso s'è ricreduto: ieri pomeriggio la squadra e l'allenatore hanno consegnato la Coppa Italia direttamente al popolo e il popolo l'ha sollevata. Fisicamente, non per modo di dire (qualche ragazzo sulla vetrata può a ragione venir considerato rappresentanza di tutta Roma). Questo nemmeno al Milan che vince la Champions League può riuscire. Ieri si poteva vedere questo ed altro, ieri si poteva vedere tutto nel giorno di festa della Roma.
C'era un presidente in tribuna commosso, un Capitano che tornava in campo col suo capolavoro più bello, coi capelli cresciuti che sembrava lui prima del Mondiale. Gli indicava la Curva e pareva dirgli. «Guarda un giorno tutto questo sarà tuo». Indicava un'atmosfera, un'appartenza, l'essere della Roma.

C'erano le tribune per magia tornate colorate per quest'ultima di campionato. Riecco gli striscioni vietati chissà perché ma sicuramente per legge. C'era anche quello di Luisa Petrucci. C'era tanto rosso perché tante persone si sono messe la maglietta della Roma senza bisogno di parole, e c'era il sole che è uscito malgrado le previsioni indicassero alla vigilia pioggia. Le previsioni quando c'è di mezzo la Roma lasciale stare: metereopaticamente magica.

C'erano i giocatori entrati in campo mano nella manina dei loro bambini, i figli di questa grande famiglia dei 60.000. C'erano i ciuccietti di Gaia sotto la Coppa Italia, biondissimi e bionda. C'erano i figli di Doni che quando sono entrati in campo dopo la partita del 4-3 al Messina, della Scarpa d'Oro a Totti cioè alla Roma, sono andati direttamente in porta. Ma faceva ride di più lo speaker dell'Olimpico che solennemente invitava paternalisticamente «i tifosi del Messina a restare seduti ai propri posti a fine partita». Ieri i tifosi del Messina erano 8 come le Coppe Italia della Roma. Che meraviglia! Che meraviglia! Poi Conti che quando Totti fa go si mette il pollice in bocca insieme alla nipotina e sotto la giacca ha ancora e sempre la maglia della Roma: il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette quest'altr'anno giocherà con la maglia numero sette. E le bandiere sventolavano mentre la Roma faceva il giro di campo.

Una cosa così, dopo l'ultima di campionato, non capitava proprio da quel campionato lì. Era il 15 maggio dell'83' un po' ieri (un po' e non di più ovvio), Rosi era nudo come Chierico a Genova, gli altri con la maglietta celebrativa di una coccarda che "intanto incominciamo a mette". Lo stemma della Roma al centro del campo, dietro non un tricolore ma i colori di questa città, giallo ocra e rosso pompeiano per gradire (mica siamo il Lecce o il Messina). La cosa più bella è che la gente è restata al suo posto, niente invasione, nessun "dilettantismo" come invece ci fu quel 17 giugno del 2001. Quando è così c'è una sensazione importante di rispetto verso la "cosa", di cura verso la squadra e verso tutto quello che si sta rappresentando lì davanti agli occhi: la festa per una squadra di calcio che non sarà mai soltanto una squadra di calcio perché mette in gioco sentimenti. Anche nell'83 tutti rimasero al loro posto.

Eppure ieri c'erano tante persone, tante famiglie, che allo stadio non c'erano mai state prima: lo capivi dal brusio a fine azione, dall'"oooohhh" sin troppo ingenuo e stupito che invece un romanista abituato si risparmia di fare, perché non gli viene di fare. Ieri c'era altro da cantare. Perché prima di quel settantuno da capovolgere, la Curva Sud ha cantato per Aldair, per Rizzitelli, Voeller e Tommasino Haessler facce un gol (il primo po-po-po-po della nostra storia), poi ha fatto un altro coro. Questo: "Ooooh Agostino, Ago-Ago-Ago-Agostino goooo". Un'altra volta e poi all'improvviso un attimo di silenzio per tutto lo stadio prima dell'applauso più forte che si sia mai sentito ieri. Che era festa anche per lui.

Quando il giro di campo è finito uno s'è ricordato nuovamente quel vaso lanciato al cielo (e il pugno scagliato a Pisa e il bacio con Ancelotti con l'Avellino) e verso la tribuna: ieri lì c'era il presidente, il figlio maschio che non ha mai avuto aveva in braccio il figlio che ha sempre sognato, nell'altra mano la Coppa. La squadra ha salito gli scalini della Monte Mario e pareva i trentanove di Wembley (dicono che adesso siano diventati tristemente 107), uno a uno mentre Grazie Roma s'alternava a Roma Roma in continuazione senza mai finire come i giocatori che passavano davanti al presidente che se li baciava tutti.

Cesaretti era rimasto in campo e quel numero 71 era diventato ormai soltanto un numero. Enzo stava sulle spalle di Mexes, Gaia sulla macchinetta con la maglietta "papà", Cristian dietro a un pallone. Sensi con Rosella e il mondo attorno, i tifosi, le famiglie, le persone felici per un pomeriggio di festa da ricordare. Semplice semplice è la Roma, come la poesia più bella che non ha bisogno di tante spiegazioni. O una canzone che canta: "la storia siamo noi, padri e figli". Attenzione, nessuno si senta escluso veramente. Nemmeno Alessandro Cesaretti, il numero 71".

Tonino Cagnucci, il Romanista, 28 maggio 2007.

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