martedì 19 agosto 2008

UN PRESIDENTE, C'E' SOLO UN PRESIDENTE/3


Tornato di fresco dal Campidoglio dopo la visita alla camera ardente del presidente Franco Sensi.
Non potevo mancare, la Roma prima che una fede rappresenta uno stato d'animo ed io personalmente alla Roma devo molto, la reputo una compagna non secondaria, molto discreta, dei miei (a novembre) 31 anni.
Lo stare insieme ad altri compagni di ventura in un'ordinatissima fila, appena un'ora, ha alleviato la tristezza, lo scherzare ricordando episodi, brandelli di una vita in comune in giallorosso, ha reso il tutto un'allegra scampagnata sotto il sole giaguaro di mezzogiorno, appena alleviato da un ponentino paraculo nelle rare sacche d'ombra.
Persone di tutte le età, dai bambini ai nonni, in un caleidoscopio di emozioni, in una doccia scozzese di sensazioni che andavano dalla tristezza più estrema all'allegria ricordando le tante battaglie dialettiche ingaggiate dal presidente.
Come tutti i funerali che, non sembri un ossimoro, hanno anche una faccia allegra e non sono altro che un appuntamento per rivedersi con parenti ed amici che magari si erano persi di vista solo per qualche tempo ed il rivedersi fa sembrare il tempo trascorso un amen.
Fino all'entrata nell'aula Giulio Cesare, concessa da Alemanno (gesto di gran sensibilità), dove il presidente riposava circondata dalla moglie Maria, sempre sorridente e con un pensiero carino per tutti, le tre figlie, l'avvocato Conte e altri dirigenti dell'As Roma.
Pochi secondi di tempo sospeso, l'aula areata, il fresco intenso, il profumo dell'incenso, il silenzio che fende come una lama il brusio della piazza e il presidente con gli occhi chiusi, il riposo del guerriero con i sogni in giallorosso.
Un articolo di Roberto Renga da "Il Messaggero" di oggi:
Il primo giorno senza Franco Sensi scorre lento e triste.
C’è un vuoto, che ognuno cerca di riempire come può.
Con i ricordi e con le lacrime.
Il corpo del presidente si trova al Gemelli e vi resterà sino alla nove di questa mattina, quando si aprirà la camera ardente al Campidoglio, omaggio che Roma rende a chi l’ha fatta più grande.
La famiglia Sensi, unita dall’amore e dal dolore, non ha mai abbandonato la vasta sala che si trova al piano terra del villino Pacelli. La signora Maria accanto a sua sorella Angela, che qualche anno fa ha perso il marito Luciano, un uomo tenero e timido. Anche lui in estate.
Poi Rosella, poi Silvia, poi Cristina. Cinque donne fragili e di ferro. Il vecchio patriarca se n’è andato, ma ha lasciato il carattere e la Roma. Cinque signore in giallorosso. Guideranno la Roma e non c’è da preoccuparsi: questa squadra è sempre stata volubile e bella come una donna.
La signora Maria bussava alla porta della camera del Gemelli alle sette e quarantacinque e le sembrava di fare le cose di prima, quando scendeva prima al bar e poi all’edicola e tornava da Franco con la colazione e i giornali, che aveva già letto di corsa ed era un piacere raccontargli tutto.
Ora gli sedeva accanto, gli parlava.
Della Roma, delle figlie, di voi e di noi, di tutto.
Sensi ha seguito la brutta storia di Mutu, che prima ha detto sì e poi ha scoperto il no. Si è arrabbiato, il presidente. Una volta quante ne avrebbe sentite la Fiorentina.
Di Baptista, il suo ultimo acquisto, non ha saputo.
Solo venerdì la famiglia si è arresa. Sensi aveva sempre detto che l’ultima parola sarebbe stata la sua, anche con la più feroce delle nemiche: bisognava credergli.
A Ferrragosto invece, davanti a Maria Sensi, un’infermiera ha abbassato lo sguardo e la signora ha capito.
Ha aperto la porta.
L’ha richiusa. Si è seduta sulla stessa sedia degli altri giorni. Maria, ha sentito sussurrare. E ancora Maria, Maria, Maria. Sono qui. Come stai? ha chiesto il presidente. Sono state le ultime parole. La voce l’ha lasciato.
Non aveva malattie mortali. Si è arreso a una lunga serie di acciacchi. Vecchiaia, si potrebbe dire. O stanchezza se Sensi non fosse stato quell’uomo che si sa. Per due ore nella grande casa grigia sull’Aurelia si sono fermati Daniele Pradè, Bruno Conti, il generale Di Martino e Luciano Spalletti. Addirittura Bronzetti, l’agente che ha fatto fortuna in Spagna. Il sindaco Alemanno ha lanciato l’idea di uno stadio da dedicare a Franco Sensi. Un mare di telegrammi e tra questi quello del presidente della Repubblica.
Oltre il cancello del villino, il pullman di una televisione e la gente di Roma, silenziosa, commossa, partecipe. Nel pomeriggio anche la telefonata di Luciano Moggi, rivale e mai nemico.
La famiglia non chiede fiori. Chi vuole, può ricordare Franco Sensi aiutando il Gemelli a comprare un macchinario che farebbe comodo al reparto di terapia intensiva.
Tutti lo porteranno, comunque, nel cuore.
La sua voce, gli scatti d’ira, i momenti di tenerezza: Sensi era un uomo così e un presidente unico.
Prepariamoci, ci mancherà.
In questi casi dicono che bisogna farsene una ragione: fosse facile.

Nessun commento: