lunedì 30 aprile 2007

MAMMA LI TURCHI



Nella giornata di ieri, sotto un caldissimo sole, un milione di persone ha sfilato per le strade di Istanbul con l'obiettivo di rivendicare la propria fede nella democrazia scossa dagli avvenimenti di questi ultimi giorni.

Il parlamento di Ankara sta votando per l'elezione del presidente della repubblica, carica per la quale esiste, sino ad ora, un'unica candidatura, quella di Abdullah Gul, ministro degli esteri dell'attuale governo ed esponente di spicco del partito islamico moderato Akp al potere. Candidatura che, nonostante la maggioranza assoluta del partito, le opposizioni di destra e di sinistra sono riuscite, sino ad ora, a bloccare.

La preoccupazione dei manifestanti è quella d'impedire che il partito islamico possa detenere tutte le leve del potere (è un islamico anche il primo ministro Erdogan, quello che scelse Berlusconi quale testimone di nozze della figlia) e portare, seppur in maniera morbida, il paese verso una deriva iraniana.

Per scongiurare tale pericolo sono scese in campo le forze armate da sempre custodi della laicità dello stato che hanno, seppur velatamente, fatto intendere che non sarebbero rimaste indifferenti di fronte alla prospettiva di un capo dello stato dichiaratamente islamico. Dal 1960 più volte l'esercito non ha esitato a prendere il potere in nome talvolta di una difesa della laicità o talaltra di troppa morbidezza verso il pericolo di sovversione comunista.

I manifestanti di ieri sono scesi in campo invocando allora una terza via, "nè golpe e nè sharia", chiedendo a Gul di ritirarsi ed ai generali di rimanere al loro posto, nelle caserme, anche se forse la soluzione della crisi istituzionale non sarà così facile. Sono troppe infatti le variabili sul campo.

C'è un partito democraticamente eletto che, senza forzare i vincoli della costituzione, sta legittimamente esercitando il proprio compito con, peraltro, ottimi risultati, anche dal punto di vista economico.

C'è la preoccupazione dei militari a cui la costituzione affida il compito di vigilare sulla laicità dello stato e che rappresentano uno degli eserciti meglio armati e più importanti dell'intera Alleanza atlantica.

C'è l'opinione pubblica turca che assiste, con il fiato in gola, ai lenti ma significativi passi in avanti fatti dal paese per divenire uno stato di diritto a tutti gli effetti ed ottenere la tanto agognata ammissione all'Unione Europea.

E ci siamo noi, Europa tutta, stretti tra il solito dilemma che si pose anche in occasione dell'invalidamento delle elezioni algerine del 1992 vinte dagli islamici del Fis.

Quant'è piccolo il crinale che separa il rispetto della democrazia dai timori che gli stessi vincitori potrebbero usufruire dello strumento elettorale per distruggere la democrazia stessa? Il tutto in un quadro geopolitico veramente importante e complicato: la Turchia confina con Iran, Iraq e Siria, ma ha ottimi rapporti con Israele e Stati Uniti.

E' chiaro che quello che succederà in questi giorni sulle rive del Bosforo non potrà non avere una rilevanza mondiale e rappresentare una lezione per il futuro.

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